Home News Comunicazione IMPRESE CULTURALI, LA FUNZIONE DI INTERESSE PUBBLICO E LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE. L’intervento di Roberto Calari su AgCult.it

IMPRESE CULTURALI, LA FUNZIONE DI INTERESSE PUBBLICO E LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE. L’intervento di Roberto Calari su AgCult.it

Riconoscere una funzione di interesse pubblico per le imprese culturali che lavorano sui beni pubblici col fine della valorizzazione. Lo chiede Roberto Calari, presidente di CulTurMedia associazione di settore di Legacoop Nazionale e presidente del settore Comunicazione presso Alleanza delle Cooperative Italiane. Secondo Calari, una strada da esplorare e da percorrere per arrivare alla definizione di interesse pubblico è quella fornita dalla riforma del terzo settore. Da tempo, ormai, ci si interroga su come questa riforma possa coinvolgere la cultura, intesa come i servizi che offre. E in questo ragionamento trova ampio spazio, spiega Calari ad AgCult, “il grande tema della funzione di interesse pubblico che l’impresa che si occupa di cultura e/o un’impresa del terzo settore può essere chiamata a svolgere”.

Un approdo che affonda le sue radici in “un indirizzo generale dell’Ue e in generale in un trend europeo di riconoscimento della funzione di interesse pubblico dell’impresa culturale che però non ha ancora una attualizzazione normativa nei diversi paesi”. Esiste quindi, a livello di indirizzi per le policy europee, un’attenzione e un riconoscimento in questo senso. Anche nella conferenza dell’impresa culturale che si è tenuta ai primi di luglio a L’Aquila, “abbiamo messo in evidenza questo aspetto, chiedendo che ci fosse una normativa che riconoscesse una funzione di interesse pubblico delle imprese che lavorano su beni pubblici al fine della valorizzazione”. Si tratta di “seguire un trend per avere un riconoscimento normativo, nel quadro più generale dell’industria culturale e creativa e all’interno della riforma del terzo settore”.

LA CULTURA E LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

La riforma del terzo settore rappresenta, a giudizio del presidente di CulTurMedia, “un fatto importantissimo che chiarisce e dà opportunità di crescita al terzo settore”. Tuttavia, che cosa ci sia dentro al terzo settore, quali siano le finalità da inserire e quali siano le accountability per determinare regole comuni non è ancora definitivamente chiaro. “Finché non saranno completati i decreti attuativi il quadro non sarà completo. Quello che è certo è che ci vorrà una grande collaborazione tra il terzo settore e un settore come la cultura che, al momento, non è dentro al terzo settore ma che di fatto ci dovrà entrare”. Di esperienze in questo senso ce ne sono già tante anche a livello nazionale. “Il teatro Elfo Puccini di Milano – ricorda Calari, tanto per citare un esempio – è una cooperativa storica del settore culturale, una delle più importanti di Italia, che da diversi anni è impresa sociale: ha modificato il proprio statuto con una discussione pubblica molto bella, con un notaio che ha apprezzato la definizione e la Prefettura che ha condiviso questo percorso, perché per l’attività che loro svolgono sono considerati impresa sociale fin da allora”.

Certo, sottolinea Calari, “è un meccanismo che va regolamentato, perché le regole siano certe per tutti: quelle contrattuali, quelle del rispetto del lavoro, il volontariato – finalmente regolamentato – non sia a dispetto del lavoro professionale ma sia complementare”.

LA PDL ASCANI SULLE IMPRESE CULTURALI E CREATIVE

Su questi aspetti c’è una stagione di lavoro comune “molto importante” in cui si inserisce anche la proposta di legge a firma di Anna Ascani, dalla prossima settimana all’esame della Commissione Cultura del Senato, che prevede la “Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative”. “La legge Ascani è un elemento molto importante perché dà un riconoscimento giuridico e formale a quel mondo di imprese culturali e creative che altrimenti sembrava un po’ figlio di nessuno”. Una legge su cui, nel corso dell’esame a Montecitorio, si è abbattuta la scure della Commissione Bilancio e della Ragioneria dello Stato privandola di tutta la parte di sostegno alle imprese e di agevolazioni fiscali. “Se ancora non ci sono le risorse sufficienti – nota il presidente di CulTurMedia -, ci sono però degli aspetti di riconoscimento del settore. C’è stato anche un lavoro lungo e intenso a cui tutti abbiamo provato a dare contributi (peraltro molto ascoltati) e che potrà essere utile per riempimenti successivi”.

Prima o poi, infatti, bisognerà “riconoscere alle imprese culturali e creative degli incentivi che le aiutino a crescere. Come pure ci vorrà quel riconoscimento di funzione di interesse pubblico per le imprese culturali di un certo tipo (non profit, vincolate all’interesse pubblico e all’accountability). Un riconoscimento fondamentale per discutere di qual è il rapporto pubblico-privato per la gestione e la valorizzazione del patrimonio culturale”.

IL RAPPORTO PUBBLICO-PRIVATO

Un terreno su cui muoversi è l’articolo del nuovo codice degli appalti (il 151), ancora mai tradotto in Italia, che tratta dei patti territoriali fra pubblico e privato. “Su questo c’è ancora poca cultura amministrativa, ma occorre fare una scommessa tutti insieme (che è anche il messaggio uscito da ArtLab di Mantova) nell’Anno europeo del patrimonio culturale”. Si tratta di “una piattaforma molto chiara che dia un messaggio di svolta sulla capacità trasversale di trainare lo sviluppo sostenibile dei territori. C’è da lavorare sull’accountabilty negli ambiti che hanno a che fare con la valorizzazione e la gestione di beni pubblici. Questo va fatto con grande sinergia tra pubblico e privato: le regole del gioco devono essere trasparenti, condivise dalla collettività e non modificabili a seconda delle convenienze”.

Di buono c’è una politica importante che sta facendo il governo per valorizzare la cultura. “Su quello non c’è nessun dubbio: c’è stata una centralizzazione della cultura in termini di risorse (anche se ancora molto basse rispetto a standard europei da conquistare). Come pure assolutamente fondamentale è stato il lavoro fatto nella parte della riforma del ministero: la capacità di lavorare sul miglioramento della qualità, dell’indirizzo e del controllo di governo della parte pubblica. Con tutti i limiti che può avere, si inserisce comunque in una logica di evoluzione importante in cui il pubblico deve essere in grado maggiormente di capire, gestire e motivare. Dall’altro, se non c’è un apporto virtuoso del privato, con le risorse calanti e le situazioni attuali, non se ne può uscire. C’è bisogno davvero di avere un’ampia condivisione degli obiettivi prioritari”.

(fonte: Articolo pubblicato su AgCult.it del 7 ottobre 2017)