Home News Cultura SHARING ECONOMY E I LAVORATORI DI PIATTAFORMA: DIPENDENTI O AUTONOMI? Editoriale di Demetrio Chiappa su Doc Magazine di novembre

SHARING ECONOMY E I LAVORATORI DI PIATTAFORMA: DIPENDENTI O AUTONOMI? Editoriale di Demetrio Chiappa su Doc Magazine di novembre

Il risveglio è compiuto. Oggi le parole più usate nel mondo del lavoro riguardano l’industria 4.0HA, il cui significato originale si sta allargando al concetto di impresa 4.0 e alla più inflazionata sharing economy.

La loro peculiarità sta nel fatto che molti processi lavorativi (reclutamento compreso) vengono realizzati da remoto tramite l’utilizzo di strumenti e piattaforme digitali. Le nuove forme di lavoro non sono regolamentate dalla tradizionale disciplina e per questo motivo il Parlamento Europeo ha sentito il bisogno di responsabilizzare le piattaforme anche attraverso l’attribuzione di un’identità fiscale, in modo che anche i soggetti della sharing economy entrino nel mercato rispettando le stesse regole di chi opera nella old economy, per garantire a tutti i lavoratori gli stessi diritti.

Ma il nobile intento di dare a tutti le stesse opportunità si scontra con nuove modalità di lavoro, dove l’orario, la sede di lavoro, le condizioni e i tempi di sviluppo non sono più elementi vincolanti e lo stesso rapporto con il committente spesso è una collaborazione non ascrivibile al lavoro dipendente.

Come inquadrare quindi i lavoratori di piattaforma e dell’impresa 4.0? I freelance ai quali la partita IVA sta troppo stretta o troppo larga? I lavoratori delle piattaforme che non hanno un’identità definita?

In merito il Parlamento Europeo ha preso una posizione netta che si basa, da un lato, sulla necessità di distinguere tra attività professionale e occasionale e, dall’altro, di non accettare la nascita di una terza tipologia di lavoro, a metà strada tra lavoro autonomo e dipendente.

Ci sentiamo di condividere la posizione europea e di inserirci nel dibattito con due proposte: applicare il contratto intermittente a tutte le figure che lavorano in modo discontinuo e attivare la contrattazione collettiva, in modo da garantire a ogni lavoratore i diritti e le tutele conquistate negli anni.

La vera minaccia sta nel tollerare e quindi normare nuovi rapporti di lavoro che, per giustificare la shadow economy, trasformano i lavoratori di piattaforme in nuovi poveri da assistere. Proponiamo quindi di non giocare al ribasso sulla pelle dei lavoratori, ma al contrario di dare “solidità” e garantire l’accesso alle migliori condizioni di lavoro possibili anche in un mercato “liquido”. Del resto, l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, oggi anche “sui lavoretti”.

Doc Magazine n.20

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