“Una rottura delle retoriche tra Vaticano e tv” di Vincenzo Vita
L’intervista del Papa di Roma Francesco a Fabio Fazio, nella serata di domenica a Che tempo che fa, sarà ricordata come una novità dirompente. Una rottura delle consuete retoriche nel rapporto tra Vaticano e televisione. Salvo, infatti, qualche programma specifico o inchieste coraggiose, il racconto religioso è sempre stato avvolto da una coltre perbenista e rassicurante. O solo teologica.
Con intuito notevole Fabio Fazio ha scelto questa volta di rischiare. Con Francesco non si scherza, come hanno capito fin troppo bene gli animatori della fronda reazionaria nascosti qua e là dentro e fuori le mura dell’Ecclesia. Del resto, ci sono i buoni ma pure i cattivi, come ha detto il Papa: Dio ci crea buoni e, tuttavia, il conflitto con il Male è perenne.
L’intervista, ampia e varia, è stata trasmessa dalla terza rete della Rai e ha toccato punte di ascolto del 32,3%, ben più del doppio delle consolidate misure del programma. Curiosa la scelta della direzione della Rai di non far slittare l’esordio della nuova serie de L’amica geniale, che ne ha risentito. Un po’ di elasticità, no?
Ovviamente, la conversazione era stata registrata nel pomeriggio e polemizzare sul punto risulta alquanto ridicolo, se si considera la quantità industriale di interviste precotte tirate via fatte a personaggi non sempre significativi. Non è semplice dialogare attraverso la televisione con un Papa e i meriti vanno riconosciuti.
Le parole del Santo Padre sono state osannate da credenti, non credenti e persino pubblici peccatori. Chissà se Francesco li avrà etichettati come sepolcri imbiancati, farisei e bugiardi. In verità, c’è vasto materiale al riguardo.
Francesco, cui il conduttore ha risparmiato alcune domande che pure sarebbero state importanti – dalla pedofilia nella Chiesa cattolica alle finanze allegre e speculative, di cui ha parlato ad esempio Report- ha sottolineato questioni cruciali. Si è soffermato lungamente sulle guerre, attuali e diffuse, rimosse o banalizzate dal dibattito pubblico. Guerre calde, fredde, cibernetiche volteggiano nel e sul mappamondo, spesso finendo nel dimenticatoio come quella dello Yemen. I media hanno notevoli responsabilità, si può aggiungere, visto che la vicenda afghana è scomparsa dai titoli, mentre la crisi attorno all’Ucraina sembra un imbarazzante arrivano i nostri (della Nato).
Lo schermo è stato bucato dalla tragedia dei migranti, su cui si esercita un cinismo crudele da parte della comunità internazionale. Ha giustamente ripreso il richiamo autorevole una delle associazioni umanitarie – Open arms – che hanno sbattuto la testa contro i muri dei disumani respingimenti.
Qui Francesco, oltre ad aver ricordato il dolore supremo suscitato dalle morti di bambine e bambini profondamente innocenti, si è soffermato con piglio da vero statista. Secolare e immerso nelle crudezze della realtà. Non bastano le preghiere, si potrebbero così immaginare i sentimenti di un Pontefice che ha girato per le periferie geografiche e per quelle delle coscienze. Sono indispensabili politiche all’altezza del tempo globale, concertando linee di accoglienza ed evitando di assistere alle morti in diretta nel mediterraneo. La pietà richiede gesti concreti. Ci sono, invece, lager in Libia, di cui l’archivio vaticano ha precisa documentazione.
Così, attenzione alla felicità delle ragazze e dei ragazzi, travolti da solitudini esistenziali e marginalità economiche. Giocare con i figli è un dovere per genitori che non vogliano assistere al deperimento generazionale.
E, ancora, il valore degli amici (il Papa non ha interpretato il buonismo mainstream neppure su questo): pochi magari, ma buoni.
Bergoglio domenica risultava un po’ incupito, forse a causa di un montaggio che toglieva un pezzo di spontaneità. Non è, al contrario, una personalità dedita all’estetica del dramma. Anzi, ha elogiato l’umorismo, sale di ogni confronto e ingrediente necessario. Il Papa non sta chiuso nei tradizionali sfarzosi appartamenti di un astorico potere temporale. Vive nella residenza di santa Marta, luogo aperto ed adibito a soggiorni comuni.
Colui che venne dalla fine del mondo, da un continente lontano in tutti i sensi, è un essere umano: ascolta la musica, ha simpatie calcistiche (ci giocò in Argentina) e ha ballato il tango. Figuriamoci, per l’ortodossia danzare è quasi un peccato. Guai al clericalismo, che nasconde nefandezze e non santità.
Una pagina di laicismo religioso, una pagina di bella televisione. Una speranza.
Vincenzo Vita
(Articolo pubblicato da “il manifesto” di martedì 8 febbraio 2022 con il titolo “L’intervista-evento. Una rottura delle retoriche tra Vaticano e tv”)