“Chi ha paura di Report?” di Vincenzo Vita
Report, la trasmissione di inchiesta della Rai in onda il lunedì sera sulla terza rete, è un piccolo gioiello. Rinverdisce, infatti, la migliore tradizione della Rai nel giornalismo di inchiesta.Proprio un modellino di servizio pubblico, come lo vorrebbero i nostri desideri. Una piacevole eccezione nel deserto omologante e decaduto della televisione generalista.
Si dia atto a Sigfrido Ranucci, vicedirettore di rete di viale Mazzini e responsabile di una redazione di altissimo livello, di aver portato nell’olimpo una rubrica ideata con determinazione e tenacia da Milena Gabanelli.
Certamente, non è l’unica oasi nella stagione in cui il trashsi è fatto estetica: tracce di buon gusto e di resistenza si trovano nei palinsesti. Per fortuna, ma il cielo è prevalentemente grigio.
Tuttavia, a dispetto del coraggio e delle qualità professionali di eccellenza, la trasmissione birichina, che mette il naso dove i benpensanti non vorrebbero, è sottoposta ad attacchi virulenti con il ricorso – persino- a dossier falsi. E’ il caso della puntata in cui è stato disvelato il bizzarro incontro nell’area di servizio autostradale di Fiano Romano tra Matteo Renzi e il dirigente del dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) Marco Mancini. Com’è emerso con prove e testimonianza diretta della fonte, la chiacchierata anomala (in genere quel tipo di incontri, se sono limpidi e ufficiali, avviene nelle sedi istituzionali) ha messo in evidenza un rapporto stretto tra un ex presidente del consiglio oggi senatore e una figura non nuova alle cronache.
Tutto questo mentre già girava un carteggio volto a screditare il programma. Si è capito che la manovra aveva radici in ambienti contigui, in una filiera da tempo sulle barricate e pronta a scattare appena la verità toglie il velo a qualche manovra intorno al sacro tabernacolo dei segreti di stato.
Probabilmente, l’ostracismo contro Report ha origini antiche e riguarda, ad esempio, gli approfondimenti sugli scandali vaticani o su talune attività di sociertà strategiche.
Siamo in un’Italia resa fragile da una crisi generale intrecciata alla caduta dell’autorevolezza di una politica schiacciata da populismi e tecnocrazie. In tale contesto, come è già avvenutoin altre stagioni, giocano un ruolo determinantegruppi di potere, salotti, aggregazioni palesi o segrete.
Ma veniamo al punto che suscita ulteriori inquietudini. La trasmissione in questione è stata oggetto in tempo reale di un’interrogazione in seno alla commissione parlamentare di vigilanza vergata da Italia Viva, il partito di Renzi.
Non solo. Sempre da quella tribuna sono stati lanciati strali e improperi, con tifoserie al seguito.
In poche parole, ci troviamo davanti ad un caso di tentata censura, come difficilmente si è visto sulla scena. In diverse circostanze si sono manifestate azioni volte a condizionare l’informazione libera, con grande baccano. Ora, però, siamo oltre. Si utilizza una commissione bicamerale immaginata per indirizzare il servizio pubblico, vigilandoaltresì sulla missione assegnata alla Rai dalle norme e dal contratto di servizio, come tribunale di inquisizione e di pena. L’ordine si rovescia: i buoni vengono dipinti come cattivi, come in certe serie televisive americane.
Ma gli attacchi sono palesi tentativi di distrazione, maldestre manovre di disturbo. L’attenzione va fuorviata dal centro della vicenda: l’interesse sospetto di un ex leader per il mosaico dei servizi segreti.
Si dice che il citato Mancini aspirasse all’incoronazione come vicecapo del Dis e l’incontro nei pressi dell’autogrill fosse finalizzato proprio a tale obiettivo. Del resto, la ripresa da parte della testimone oculare (né occulta,né omissiva) avvenne lo scorso dicembre, a breve distanza dalle nomine.
E non è un caso se è stato annunciato che il governo interverrà con una specifica direttiva dell’autorità delegata alla materia Franco Gabrielli sui contatti tra operatori dei servizi ed esponenti politici. Ne ha parlato nella recente riunione del Copasir l’ex direttore generale del Dis Gennaro Vecchione. E sono stati respinte al mittente per di più, com’era prevedibile, le insinuazioni contro il servizio di Report.
Sarebbe importante, a questo punto, che la stessa commissione parlamentare di vigilanza introducesse griglie selettive su tali tipologie di sindacato ispettivo ad rubricam. E che l’Agcom definisse criteri e linee guida.
Una riflessione si impone. Dall’insieme della faccenda emerge un protagonismo eccentrico e debordante di Matteo Renzi. Travolto dalla sconfitta referendaria del 2016, l’ex segretario del partito democratico non si è mai ripreso. Non solo. L’evidente modestia nel consenso del raggruppamento di Italia Viva deve aver convinto il medesimo Renzi a immaginare per sé strade contigue, ma differenti. Stiamo parlando della zona di confine (non ci riferiamo ad illeciti) tra politica ed affari. Perché, se no, le conferenze retribuite in Arabia Saudita o simili? Chiunque abbia aspirazioni istituzionali sa che simili cadute di stile (eufemismo) costano care. O no?
Non è fantasioso, dunque, pensare che le prospettive delineate siano in mondi di altra natura, in quel crogiuolo dove l’influenza di opinione, il potere accumulato e gli interessi si saldano. E dove il rapporto con i servizi segreti conta, eccome.
Avrebbe scritto probabilmente Johm le Carré: chi è davvero Matteo Renzi?
Vincenzo Vita
(Articolo pubblicato da “il manifesto” di giovedì 13 maggio 2021 con il titolo “Matteo, l’artificio dell’intelligence”)