Home News Comunicazione “La mia Mafia Caporale, contro omertà e indifferenza”, l’intervista di Leonardo Palmisano su Zai.net di settembre

“La mia Mafia Caporale, contro omertà e indifferenza”, l’intervista di Leonardo Palmisano su Zai.net di settembre

Leonardo Palmisano racconta, nell’intervista realizzata per la rivista Zai.net del mese di settembre, il nuovo schiavismo e dà voce a chi non può parlare.

Vorrei iniziare proprio dal titolo del suo libro. Oggi si sente tanto parlare di ecomafia, agro­mafia, Mafia Capitale. Cos’è Mafia Caporale e perché scrivere un libro su di essa?
Ho costruito il sistema ipotetico Mafia Caporale come intreccio fra il caporalato – inteso come fenomeno dello sfruttamento illecito della manodopera – e le mafie – intese come i sistemi criminali tradizionali. Ho coniato il termine Mafia Caporale ancora prima che uscisse la legge che ha riconosciuto il caporalato come reato di mafia, perché volevo segnalare quan­to l’uso della minaccia e dei dispositivi tipici della coercizione di carattere mafioso lo definiscano come tale. La mia teoria, in seguito, è stata comprovata dall’approvazione della legge sopra citata.

Ci parli del suo lavoro di etnografo e di come si è svolta la fase di ricerca per scrivere Mafia Caporale.
Ho una formazione di carattere francese maturata grazie al dottorato di ricerca in Tunisia, dove ho po­tuto studiare con un’équipe di geografi, etnografi e demografi.
Per quanto concerne Mafia Caporale ho prima defi­nito il campo d’azione, ovvero i diversi settori pro­duttivi, entro i quali si riscontrava maggiormente lo sfruttamento del lavoro; in seguito ho costruito un apparato di letture, di momenti vissuti e di appro­fondimento tramite i quali ho cominciato a definire il campo territoriale.
Una volta individuate le aree interessate dal feno­meno di Mafia Caporale, grazie a una rete di te­stimoni privilegiati, contatti e “ganci”, ho cercato testimonianze che fossero rappresentative di tutto quel sistema. Sono arrivato così a darne una precisa definizione.

Nel primo capitolo – dedicato alla sua regione: la Puglia – ha raccontato la storia di Dimitar, il piccolo schiavo che lavorava a Foggia. Questa città è stata sconvolta ad agosto da un terribile incidente, in cui sono morti alcuni braccianti. La popolazione civile ha organizzato dei cortei in difesa dei lavoratori sfrutta­ti. Come sta reagendo e come si sta sensibilizzando, secondo lei, l’opinione pubblica sull’argomento?
Non si sta sensibilizzando e non sta reagendo. L’opi­nione pubblica della Capitanata si mostra sostanzial­mente indifferente e insensibile, benché il fenomeno del caporalato sia noto a tutti.
Chiunque può osservare quotidianamente gli schiavi spostarsi da un luogo all’altro sui furgoncini, ma non c’è una presa di posizione da parte della cittadinan­za larga.
Per fortuna piccoli gruppi che fanno volontariato, le­gati alla Caritas o ad altre organizzazioni umanitarie, si interessano alle vittime di questo sistema mala­vitoso. La maggior parte della popolazione non reagisce, come non reagisce con­tro i sistemi criminali presenti nella provin­cia di Foggia.

Schiavismo, nuovi schiavi, caporalato. Secondo lei, si può parlare di una nuova rotta degli schiavi? Una tratta che non porta più i prigionieri dall’Africa Centra­le sino alle coste americane, ma di una rotta che dai Paesi dell’Est Eu­ropa e dell’Africa porta gli schiavi nei Paesi sfruttatori?
In realtà no, non assistiamo a una deportazione co­atta. In Africa centrale c’è la volontà di fuggire dal­la miseria e dall’impossibilità di raggiungere degli obiettivi, anche importanti.
La questione, se vogliamo, è forse anche più grave perché in questo momento la consapevolezza della schiavitù è nascosta.
L’Europa non racconta di essere un continente che chiede lavoro schiavistico e che introduce manodo­pera desiderosa di cambiare le proprie condizioni di vita dentro sistemi di sfruttamento, che fanno paura. C’è, quindi, un livello di ipocrisia ben più alto che durante il sistema schiavistico tradizionale.

Com’è cambiata e in cosa è rimasta la stessa l’Italia di Mafia Caporale, dalla pubblicazione del libro a oggi?
Il regime dello sfruttamento non è molto cambia­to. Forse in alcuni casi la situazione si è aggravata, in altri è rimasto sostanzialmente inalterato, nono­stante una maggiore attenzione da parte delle forze inquirenti e delle forze dell’ordine. È un sistema re­sistente, con fortissime collisioni, specialmente con la politica di carattere locale, soprattutto a livello regionale.
Mafia Caporale, come lavoro d’inchiesta, vuole ri­sollevare e riattualizzare il tema. Per questo non mi sono concentrato solamente sul settore agricolo, come fu invece per Uomini e Caporali di Alessandro Leogrande, ma sono andato oltre. Naturalmente il sistema malato del mondo criminale ha preso delle contromisure e ha inviato ad alcune presentazioni anche delle figure interne al sistema dello sfrutta­mento per cercare di screditarmi. Indubbiamente non c’è riuscito.
Il sistema sano dello Stato, invece, si è limitato ad approvare la legge e muovere le procure. Non è in­tervenuto nel riequilibrio sui rapporti di forza nel mondo del lavoro.

Molte storie commuovono, suscitano profonda ma­linconia e senso di impotenza. Cos’ha provato nel sentire e raccontare queste storie? Ce n’è una che l’ha colpita particolarmente?
A me ha colpito moltissimo sia la storia del bambino bulgaro Dimitar sia la storia delle tante ragazze che vengono sessualmente sfruttate dal sistema mafioso nigeriano.
Ho provato rabbia di fronte alla situazione di tante persone che, con un salario un po’ più alto, avreb­bero potuto permettersi un margine più ampio di libertà. Rabbia, perché non viviamo in un Paese po­verissimo o in una dittatura, ma in un Paese che ha deciso di abbracciare la schiavitù e il neo-schiavismo come motori interni al mercato del lavoro.

Ci parli dei suoi progetti futuri e dei nuovi libri o inchieste che ha in programma.
È stato pubblicato pochissimo tempo fa Tutto Torna, primo romanzo giallo di un lungo ciclo, che proba­bilmente diventerà una serie tv o un film, sempre in collaborazione con Fandango. Il protagonista è un personaggio banditesco contemporaneo, attraverso il quale ho deciso di costruire un racconto ambien­tato nel mondo dei sistemi criminali pugliesi e non soltanto. In questo momento sto anche concludendo un’inchiesta sul sistema mafioso nigeriano. Divente­rà presto un libro, pubblicato probabilmente l’anno prossimo.

Gianni Bellu, reporter Zai.net

Zai.net – Settembre, intervista Palmisano (pdf)