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AgCult | Pubblico-privato, Barni (Aci): quando parliamo di partenariati, parliamo del futuro del Paese

“La cooperazione si candida a sperimentare nuove forme e modelli di partenariati in un nuovo clima di fiducia reciproca”

“Dobbiamo aver presente che quando parliamo di nuovi modelli di partenariato pubblico-privato parliamo del futuro di questo paese”. Lo ha detto Giovanna Barni, copresidente di Alleanza delle Cooperative Beni culturali, intervenendo a Milano ad ArtLab 2019 nel corso della sessione “Le partnership pubblico-private per la valorizzazione del patrimonio ai fini di innovazione culturale e sociale”. E proprio alla luce di questa sfida cruciale per il futuro dell’Italia, la cooperazione italiana si candida come soggetto protagonista nella sperimentazione di nuove forme e modelli di partenariato pubblico-privato in un rapporto di rinnovata fiducia tra imprese e istituzioni. 

“Siamo assolutamente interessati al tema delle forme di partenariato pubblico-privato – ha chiarito Barni -. Alleanza delle Cooperative rappresenta circa 2000 coop che lavorano nel settore culturale, e alcune di esse lo hanno fatto in maniera pionieristica fin dagli anni Novanta. Soggetti che a tutt’oggi sono ancora attivi”. Ma per avviare questa collaborazione “servono scommesse, capacità di rischiare, fiducia reciproca”. Barni si dice “parzialmente ottimista che ci possa essere questa fiducia per avviare sperimentazioni. La cooperazione – ribadisce – si candida per essere il primo soggetto privato a partecipare a questa sperimentazione”.

Secondo Barni, la cooperazione è un interlocutore privilegiato e ideale in questo percorso. Occorre prendere in considerazione alcuni dati per avviare una riflessione seria sul tema. Innanzitutto bisogno osservare come “la distribuzione del patrimonio culturale è diffusa in tutta Italia, mentre c’è una profonda disomogeneità nella messa a valore. Gran parte dell’Italia rientra quindi nella categoria della sottoutilizzazione” del patrimonio culturale. Forse, ragiona Barni, “le ricette utilizzate finora non sono state quelle giuste. Ad esempio le concessioni dei servizi aggiuntivi, sia nella capacità di replicabilità sia nella qualità della relazione tra pubblico e privato. Oppure l’alienazione a scopo di valorizzazione privata. La valorizzazione di carattere privato ha il limite di finalizzare la redditività di un patrimonio che spesso non è fatto per questo tipo di utilizzo. Ma anche dal punto di vista del pubblico ci sono limiti sia nei grandi progetti sia nelle candidature UNESCO”. Per questo, secondo Barni, è urgente e necessario “mettere in atto misure più complesse per cui la ricetta unica non funziona”.

L’altro dato da cui parte Barni è quello della cooperazione culturale. “Di fronte al patrimonio culturale sottoutilizzato esiste – e mi permetto di dirlo – un altro patrimonio di persone, quello di chi fa impresa, come la cooperazione. Questo capitale umano esiste, ha bisogno di crescere e di radicarsi ancora di più sul territorio. La cooperazione è presente in modo diffuso in molte parti del paese, anche in quelle con maggiori fratture sociali. La cooperazione è diffusa e radicata sul territorio”.

Da qui l’idea di farsi protagonisti. “Non vogliamo certo farlo da soli – chiarisce Barni -. Servono delle competenze che non sono disponibili in tutti i territori. L’ipotesi di creare un sistema di tutoraggio, incubazione, aiuto alle coop che vogliono sperimentare questi modelli può essere una forma di patto pubblico privato nazionale, declinato nei singoli territori, per una nuova economia della cultura. Un’economia – conclude Barni – che non guardi solo al ritorno economico della pubblica amministrazione, come si fa con le gare brevi e al massimo ribasso. Non si può liquidare l’impresa come quel soggetto che vuole fare solo profitto. Quando la pubblica amministrazione ha uno spazio culturale valorizzato ha un ritorno di gran lunga maggiore di quello che potrebbe avere con un semplice canone”. 

(fonte: AgCult.it)