Home News Turismo AgCult | Cooperative di comunità, ecco perché la Toscana (e soprattutto la Lunigiana) sta facendo scuola

AgCult | Cooperative di comunità, ecco perché la Toscana (e soprattutto la Lunigiana) sta facendo scuola

Forse non è un caso che la prima cooperativa di comunità d’Italia sia nata proprio in Toscana con il Teatro Povero di Monticchiello. Con una legge dedicata e numerosi bandi, negli ultimi quattro anni la Regione ha investito milioni di euro che non sarebbero serviti a niente se non ci fosse stato un territorio capace di mettere a sistema ciò che nei fatti già esisteva da decenni (e in alcuni casi da più di un secolo): ovvero il concetto stesso di comunità, che si traduce – e declina – nella prolificazione di reti informali. Qua il passato è già futuro

C’è una storia contemporanea che però attinge a piene mani dall’esperienza del passato. Tradizione, attitudine, predisposizione, morfologia dei luoghi. Tutto contribuisce a rendere unica l’esperienza di comunità della Toscana. Del resto il primo articolo della Convenzione europea del paesaggio – che guarda caso è stata firmata proprio a Firenze – definisce una determinata parte di territorio “il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali o umani e dalle loro interrelazioni”. È in questo contesto che la Regione Toscana ha offerto la cornice, il contesto e le risorse per lo sviluppo delle cooperative di comunità. Tutto il resto è nato di conseguenza e ora vive paradossalmente di vita autonoma, spingendosi ben al di là dei contesti istituzionali e formali. Infatti le reti territoriali, per lo più non ufficiali, si confrontano e relazionano su scelte e progettazioni comuni, soprattutto quando sono unite dall’appartenenza territoriale. È il caso della Lunigiana, dove esistono 8 delle 42 cooperative di comunità ad oggi presenti sul territorio regionale. Per loro i bandi di finanziamento pubblico sono uno strumento, ma dalle risorse che ne provengono non dipende la loro sussistenza. Perché nella maggiore parte dei casi offrono servizi sul mercato privato (turistico, culturale, di ristorazione e vendita di prodotti tipici e così via), traendone risorse indispensabili per la continuità imprenditoriale (seppure comunitaria). Ma per capire quello di cui stiamo parlando occorre fare un passo indietro. O, per cedere alla tentazione della prospettiva, in avanti. È proprio qua che ha inizio la nostra narrazione.

L’ANTICO CAFFÈ DEGLI SVIZZERI A PONTREMOLI

Come molti primi incontri, anche questo è avvenuto in un bar. Anzi, in due. Siamo in Lunigiana, un luogo diffuso che dalla costa si spinge in su fino all’Appennino. I suoi stessi abitanti definiscono la loro terra una “terra di confine” e quando si spostano verso l’interno, a prescindere che la destinazione sia Lucca o Firenze, sono soliti dire che “vanno in Toscana”. Appartengono a questa regione, certo, eppure percepiscono la città di Parma e il parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano come uno spazio a loro prossimo al pari di Massa, Carrara e perfino La Spezia. Anche l’accento non è propriamente aderente al vernacolo toscano, che non a caso si chiama vernacolo e non dialetto essendo una declinazione diretta del volgare fiorentino trecentesco.

La Lunigiana, soprattutto nelle aree interne, ha vissuto storie di migrazioni – in particolare verso la Francia – e di graditi ritorni. Non deve quindi sorprendere il fatto che il primo incontro sia avvenuto nell’antico “Caffè degli Svizzeri” a Pontremoli, dov’è possibile mangiare anche il dolce tipico, che si chiama Amor. La ricetta di questo dolcetto, che racchiude una gustosissima crema tra due cialde quadrate di wafer, è stata appunto creata da una famiglia di pasticceri elvetici. Peccato che le cialde abbiano rischiato di scomparire. Quando anche la Loacker stava per ritirare il prodotto dal mercato a causa della scarsa richiesta, una delegazione di pasticcieri pontremolesi ha chiesto di essere ascoltata dall’azienda altoatesina, convincendola a cambiare idea. Questo piccolo grande gesto, che meriterebbe tutt’altra narrazione, già la dice lunga sulla felice caparbietà dei lunigianesi e sul valore che attribuiscono alla propria identità.

UNA STORIA DI CAMMINI E CAMMINANTI

E così nel “Caffè degli Svizzeri” di piazza della Repubblica incontriamo gli smart worker arrivati fino a Pontremoli grazie a Farfalle in Cammino, una delle prime associazione di turismo sostenibile nate in Italia. “Era il 2004. A quel tempo declinare concetti come sostenibilità e responsabilità nell’ambito turistico non facilitava la reale comprensione del tema, né tantomeno la sua portata” racconta Pierangelo Caponi, che oltre a essere socio di Farfalle in Cammino è oggi anche presidente di Sigeric – Servizi per il turismo. “Il nome trae ispirazione da Sigerico di Canterbury e dal suo cammino lungo la via Francigena” prosegue Caponi. “Siamo nati nel 2015 dall’esperienza associativa, diventando prima una cooperativa di servizi con guide turistiche e ambientali. Poi, quattro anni dopo, siamo diventati cooperativa di comunità”.

L’INTUIZIONE DELLA REGIONE TOSCANA

L’opportunità di questa trasformazione – che non è solo giuridica, ma identitaria – è stata offerta dal primo bando promosso da Regione Toscana che, mettendo a disposizione 1,2 milioni di euro, ha favorito la costituzione di 24 cooperative di comunità. Era il 2018. Ora su tutto il territorio regionale si contano ben 42 cooperative, compresa la prima esperienza italiana, quella del Teatro Povero di Monticchiello. Da allora la Regione Toscana ha creato una norma ad hoc – la 67 del 2019 che modifica la legge regionale 73 del 2005 sullo sviluppo del sistema cooperativo – e ha promosso altri due bandi destinati alle cooperative di comunità, erogando 1 milione di euro nel 2020 e 1,2 milioni nel 2022 (il bando è a tutt’ora aperto). Circa 3,5 milioni di euro in tutto, sia fondi regionali sia fondi Por Fse. Che si aggiungono alle risorse messe a bando per sostenere la nascita di empori di comunità (1 milione di euro nel 2020) e altri bandi per i sei diversi Gal (Gruppi di azione locale) della Toscana, con 3,8 milioni destinati ai progetti di rigenerazione delle comunità.

In questo contesto Sigeric – che dà regolarmente lavoro a 10 persone (di cui 7 sono soci) e che nel periodo estivo raddoppia il team fino ad arrivare a 20 collaborazioni – si è vista finanziare il progetto Turis.Coop, dando di fatto vita (e origine) alla prima “Borsa del turismo delle cooperative di comunità toscane”. Due giorni fatti d’incontri, relazioni e progetti. Due giorni, il 2 e 3 aprile 2022, vissuti tra i borghi di Filattiera e Mulazzo. Due giorni in cui le cooperative di comunità si sono presentate e raccontate. Lo hanno fatto guardandosi negli occhi, tra di loro, ma anche con tour operator e agenzie di viaggi specializzate nel turismo responsabile e sostenibile.

Oltre alla già citata cooperativa del Teatro Povero di Monticchiello, tra le altre c’erano anche le cooperative “La Fortezza” di San Romano in Garfagnana (la più giovane, nata in piena pandemia), “Montagna Cortonese”, “Cia – Cultura, innovazione e ambiente” di Palazzuolo sul Senio (prima esperienza di comunità della provincia di Firenze), “Parco Vivo” (Monte Amiata), “Il Borgo” di Montelaterone (Grosseto), “Centro Culturale Compitese” (oltre mezzo secolo di storia per la cooperativa che a Capannori organizza da oltre un trentennio la Mostra delle antiche camelie della Lucchesia).

LA BORSA DEL TURISMO, ATTO PRIMO

Un percorso, quello di Turis.Coop che, in realtà, ha avuto inizio con l’organizzazione di un press tour nell’autunno scorso. Punto di partenza è stato ancora una volta Pontremoli, dove Sigeric ha sede. Ma l’esperienza – perché è di questo che si tratta – è stata vissuta a stretto contatto con le comunità locali, dalla cooperativa di comunità tutta al femminile “Le Valli di Ziri” (che tra le altre cose ha evitato l’estinzione delle pecora e degli agnelli di razza zerasca) fino a “La Guinadese” (la più antica attività commerciale di tutta la provincia di Massa-Carrara, che prima di essere “di comunità” era cooperativa fin dal 1919 e che ora conta almeno un socio per ciascuna famiglia della valle).

“Quando abbiamo iniziato la nostra attività eravamo a cavallo tra due secoli. Si stava esaurendo l’indole rurale, ma non si percepiva ancora quella prospettiva di rinascita che oggi è invece evidente ai nostri occhi” racconta Caponi. “Agli inizi degli anni duemila i segnali erano molto meno evidenti. Ma fin da subito abbiamo pensato di recuperare storia, tradizioni e identità”. E infatti grazie alla cucina della cooperativa “La Guinadese” – la cui sede è anche un emporio per i prodotti locali e un presidio per l’erogazione gratuita di servizi di sanità digitale – è possibile degustare una delle migliori versioni dei testaroli al pesto, che per l’appunto sono cotti negli antichi testi di ghisa adagiati su foglie di castagne. “Ecco, abbiamo mangiato cibo cotto coi testi, ma una ventina d’anni fa questa pratica era ad esclusivo appannaggio di una cinquantina di persone al massimo in tutta la valle” chiosa Caponi. “Gli obiettivi del press tour, della borsa del turismo e di altre simili iniziative è di far crescere il territorio. D’accordo, la nostra cooperativa lavora nei servizi turistici e desideriamo creare posti di lavoro per i lunigianesi. Ma possiamo crescere solo se cresce anche il territorio”.

GLI SMART WORKER

E allora torniamo dove ci eravamo lasciati, ovvero al “Caffè degli Svizzeri” in compagnia degli smart worker. Già, perché nulla accade per caso. E ciò che più di ogni altra cosa conta, qualsiasi sia la comunità oggetto della narrazione, sono – e restano – le persone. Ognuno con la propria storia, le proprie competenze, le proprie aspettative. In queste comunità ognuno si fa forte della sua identità. E così durante la pandemia ecco l’idea: proporre un “pacchetto” per gli smart worker. Ma non un “pacchetto” qualsiasi con una casa da abitare, uno spazio di co-working da utilizzare e una fibra ottica per essere connessi col mondo. Sì, tutto questo c’è (com’è ovvio che sia), ma la proposta si è spinta oltre. “Pontremoli è una città a misura d’uomo. Desideravamo promuoverla sia ai turisti sia a coloro che erano in cerca di un luogo dove poter lavorare e vivere. L’abbiamo fatto proponendo un percorso d’accoglienza” racconta Francesco Bola, guida turistica e socio di Farfalle in Cammino e di Sigeric.

In poco meno di due anni sono stati messi a disposizione una dozzina di appartamenti per una sessantina di smart worker, una quindicina dei quali hanno perfino deciso di trasferirsi definitivamente a Pontremoli. Come Rossella, che arriva da Verona. O Claudia, arrivata da Parma col suo compagno in estate. “Intercettato l’interesse, per prima cosa dedichiamo un giorno intero alle persone che desiderano venire qua a lavorare. Una giornata speciale in cui sono nostri ospiti” racconta Damiano Noventi, welcomer volontario. In cosa consiste questa giornata? Accoglienza all’arrivo (magari facendosi trovare in stazione con qualche Amor), visita nel paese (e nei suoi luoghi simbolo, a cominciare dal museo delle statue stele e da Villa Dosi Delfini), e soprattutto incontri con gli abitanti del luogo. A loro vengono indicati panetterie, farmacie, bar, alimentari, luoghi di ritrovo. E alla fine – appuntamento irrinunciabile – i potenziali smart worker vengono messi a contatto con l’enogastronomia: testaroli, torte d’erbe e così via.

“Si tratta di un percorso autentico. La mission, quella vera, è di farli sentire come a casa” puntualizza Damiano. “In questo modo non si trova solo un amico, ma un’intera compagnia. È come un viaggio al contrario: tu stai fermo e fai esperienza rimanendo a Pontremoli. Ho conosciuto più persone negli ultimi sei mesi che negli ultimi sei anni”. Il gruppo whatsapp degli smart worker infatti sopravvive a prescindere dalle scelte individuali. Lì dentro ci sono anche brasiliani, americani, spagnoli. Chi resta, poi, diventa ‘welcomer’ a sua volta. E così come nascono relazioni, ecco che nascono anche nuovi amori. Tant’è che si celebreranno a breve i primi due matrimoni.

Sono proprio loro, gli smart worker, a indicarci il secondo bar, quello che non fa il caffè. A nessuno. È scritto a chiare lettere sulla macchina che sopravvive al tempo, inutilizzata. Accanto al cartello in cui si legge “Non teniamo bottigliette d’acqua” c’è quello su cui è scritto “Macchina del caffè spenta da 7 anni”. Anche se il cartello resta lo stesso, con un pezzo di carta e un po’ di nastro adesivo il titolare del Bar Luciano, Roberto, cambia il numero ogni anno. Questo è uno dei luoghi di ritrovo, punto di riferimento dell’intera comunità. Una delle tappe obbligate degli smart worker, dei pontremolesi e di tutti i turisti. Propone solo l’aperitivo ‘ufficiale’ di Pontremoli: il bianco oro. Eccellente, ma guai a chiedere qual è la miscela. Se il segreto fosse svelato dovremmo dire addio anche alla poetica dell’accoglienza.

RIPENSARE I MODELLI

In questo contesto capita spesso che sia posta una domanda: perché lo fate? Lo chiedono gli smart worker, lo chiedono i turisti, ma lo chiedono anche certi professionisti. La risposta più comune è la più semplice e al tempo stesso la più spiazzante: “Per amore della nostra terra”. Per meglio comprendere quella risposta occorre andare alla radice di una scelta. Come quella del presidente di Sigeric, Pierangelo Caponi, che è un ingegnere e che dopo dieci anni ha abbandonato il posto fisso da manager in una grande multinazionale per dedicarsi anima e corpo alla Lunigiana (“So che lavoro per me, per la mia famiglia, per il mio territorio”, ci dice). O come quella di un altro socio Sigeric, Mattia Olivieri, che è anche responsabile del progetto Turis.Coop. Anche lui avrebbe potuto seguire altre strade professionali, forse più sicure e remunerative. Ma quelle strade lo avrebbero allontanato da Pontremoli e dalla Lunigiana, dai luoghi “in cui sono vissuti i miei genitori e dove ora crescono i miei figli”. Di fatto quelle strade lo avrebbero allontanato dalle sue origini.

Dentro a questa centrifuga di emozioni ed esperienze ci sono quindi professionalità e visioni di futuro. Tutte legate strette alle comunità di appartenenza, che a volte sono perfino difficili da raggiungere perché distanti dai centri urbani, dalle principali stazioni ferroviarie o dai caselli autostradali. Eppure questa Toscana di confine che è la Lunigiana ha trasformato questo limite in opportunità. Ed è sempre qua, in Lunigiana, che si è svolta la prima borsa del turismo.

LA BORSA DEL TURISMO, ATTO SECONDO

Apparentemente le parole chiave sono lentezza, sostenibilità, identità, cultura, esperienze. Ma a ben guardare ci sono elementi che superano anche l’intrinseco valore dei significati e dei significanti. Lo si misura con mano quando si scopre che alla prima borsa del turismo di comunità non hanno partecipato solo (quasi tutte) le cooperative, ma anche i tour operator di settore – quelli con spiccata attitudine alla sostenibilità – e le principali rappresentanze politiche, dai sindaci fino ad Anci, dall’Associazione italiana di turismo responsabile fino a Regione Toscana. È stato lo stesso assessore regionale al turismo, Leonardo Marras, a definire questa declinazione del turismo nell’ambito comunitario “una genialata”. Ma perché è necessario parlare di genialità? “L’energia organizzata di queste comunità è evidente e prende forza dal loro stesso essere” risponde Marras. “La risposta pubblica, da sola, non basta. Si deve innescare qualcosa nell’economia sociale. Senza una vivacità economica e sociale del territorio diventa inutile perfino provarci”. Eppure in Toscana ci provano, eccome. Tant’è che dieci cooperative hanno da poco costituito una rete autonoma e indipendente che già nel nome rende esplicito l’obiettivo: “Borghi futuri“. Il loro obiettivo è di produrre sviluppo economico, sociale e culturale. Anche laddove l’economia di mercato fatica e la proposta di certi servizi pare antieconomica. Questa rete, nonostante sia giovanissima, si è dotata di una struttura di gestione leggera con la nomina di un presidente e di un vicepresidente. Ogni decisione viene presa collegialmente e lo scambio d’informazioni, competenze, idee e know-how è costante. Insieme hanno partecipato all’ultimo bando della Regione Toscana, pubblicato il 21 marzo, che per la prima volta si rivolge non solo alle singole cooperative ma anche alle reti di imprese che includono almeno dieci cooperative (e che siano aperte all’ingresso di altre, proprio come nel caso di Borghi Futuri).

La relazione che invece lega le cooperative di comunità della Lunigiana è tutt’altra faccenda. Qua siamo di fronte a una rete informale basata sulla conoscenza, sulla stima reciproca, sulla prossimità e sulla consapevolezza che la crescita di una cooperativa significa far crescere non solo il territorio ma anche le altre cooperative. Andando oltre gli schemi istituzionali codificati e costituiti, tra loro si chiede spesso la reciproca consulenza su progetti e prospettive. Sul piatto, come sempre, ci sono i temi più diversi: dalle comunità energetiche al cicloturismo fino ai progetti Gal.

LA LEGITTIMITÀ DI FALLIRE

Sappiamo bene che sui territori cresce la consapevolezza di cosa significa essere “cooperativa di comunità”. Lo sanno i cittadini e lo sanno bene anche le amministrazioni locali, che pur avendo limitate risorse e margini di azione (soprattutto nei comuni più piccoli e nelle aree interne) coinvolgono le cooperative in ogni evento, convegno o iniziativa. Esiste quindi un coinvolgimento costante e informale, sia verticale sia orizzontale, spontaneo e non sempre codificabile negli strumenti amministrativi presenti. Tutto questo non rende queste realtà esenti da ostacoli.

“Insomma, proviamoci. Però mi raccomando: non abbiate paura di fallire”. È questo l’invito di Marras. E allora ecco che rimbalzano nella mente le parole di Caponi, che parlando di Sigeric, dei processi democratici e dell’accresciuta consapevolezza del territorio ci ha detto questo: “Quando sbagliamo ci piace che qualcuno ce lo venga a dire”. E infatti glielo dicono, perché è solo così che è possibile stare insieme. E migliorare.

Un invito in tal senso è stato rivolto anche da Giovanni Teneggi, che le cooperative – soprattutto di comunità – le conosce e le studia. “Perdonatevi gli errori” ha detto rivolgendosi alla nutrita platea di Turis.Coop colui che di Confcooperative è punto di riferimento per questa (relativamente nuova) forma d’impresa comunitaria. “Nei nostri borghi e nei nostri paesi ci scopriamo potenziali produttori del bene più richiesto al mondo” ha detto. Quale? “Lo spazio vivibile, il tempo per l’umanità, i luoghi di prossimità” risponde. “Oggi tutti ne parlano, tutti ne hanno bisogno. Stiamo salvando il mondo, non solo il paese a cui apparteniamo. Siamo i luoghi che aspettano l’umanità per perdonarla e per dare senso alla vita”. Così sia, così è, così sarà.

(Fonte: AgCult.it)