Home News Cultura “Costo del lavoro: questione di punti di vista”, l’editoriale del presidente di Doc Servizi su Doc Magazine n. 23

“Costo del lavoro: questione di punti di vista”, l’editoriale del presidente di Doc Servizi su Doc Magazine n. 23

“Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista e per riuscire a vedere il tuo punto di vista devi cambiare punto di vista”. Questa intrigante frase, che poi ho scoperto appartenere a Marianella Sclavi (Arte di ascoltare e mondi possibili, Bruno Mondadori, 2000), mi ha sempre colpito perché sono da sempre un deciso assertore del fatto che possiamo raccontare le cose in modo diverso a seconda dell’orizzonte verso il quale guardiamo.

In questo periodo tra i vari convegni sul lavoro, sull’industria 4.0, su come i lavoratori siano le vere vittime della cosiddetta gig economy, mi sono azzardato a proporre un nuovo punto di vista rispetto al concetto “costo del lavoro”. Perché non cambiamo la struttura dei bilanci delle aziende e spostiamo le risorse umane dai costi al patrimonio? Dal conto economico allo Stato Patrimoniale?

Siamo da sempre abituati a vedere la filiera della produzione come un insieme di elementi di spesa (le materie prime, i macchinari, il costo del denaro, il costo del lavoro, gli ammortamenti) che messi insieme diventano il prodotto finito destinato alla vendita. Così le persone sono trattate al pari delle merci e dei beni: costi che producono ricavi.

Ma se cambiassimo punto di vista e guardassimo a fondo lo svilupparsi dei processi produttivi, scopriremmo che, soprattutto nell’industria culturale e creativa, nel mondo delle nuove e vecchie professioni e in fondo in ogni settore, è dall’apporto umano che parte la filiera, dalla capacità dell’uomo di creare, gestire e controllare ogni processo.

È palese che le risorse umane valgono molto più di quanto costano e sta nella capacità del datore di lavoro fare in modo che giorno dopo giorno ogni lavoratore accresca le proprie competenze, non destinandolo allo sfruttamento (una volta consumato, come qualsiasi materia prima, si è costretti alla sostituzione), ma aumentando il suo valore, mettendolo in sicurezza, aumentando la sua competenza professionale e facendo in modo che la sua permanenza in azienda lo faccia stare meglio di quando è stato assunto. E soprattutto, come ogni patrimonio, sarà meritevole di rispetto, attenzione e cura. Perché sempre di più, nell’epoca dei lavori precari e discontinui, l’unico patrimonio sul quale poter contare è quello umano. Solo allora i due termini “risorse” e “umane” acquisiranno il loro significato più profondo.

Demetrio Chiappa, presidente Doc Servizi

Doc Magazine n.23