Home News Cultura Il valore della Cooperazione nei Beni Culturali. Lettera aperta di Giovanna Barni, presidente di CoopCulture

Il valore della Cooperazione nei Beni Culturali. Lettera aperta di Giovanna Barni, presidente di CoopCulture

barniNegli stessi giorni in cui il Mibact emanava il bando di reclutamento per i 20 Direttori dei Musei ad autonomia speciale, e si applaudiva all’incremento dei visitatori presso i siti culturali statali italiani- pur trattandosi di incrementi puntuali e non diffusi-, sulla stampa nuovamente si contavano i presunti danni economici provocati allo Stato dai gestori dei servizi aggiuntivi.

Tutto questo ci lascia sgomenti, non solo per il pressapochismo con cui le attuali proroghe sembrano colpe degli attuali gestori accusati di essere abusivi, ma, ancor più, perché alle critiche non si accompagnano mai idee, proposte o semplicemente elementi utili a capire quale debba essere il nuovo indirizzo “pubblico” cui dovrebbero puntare le gestioni: massimizzare la qualità dell’accoglienza e dei prodotti di fruizione? Puntare allo sviluppo dell’occupazione e dell’industria culturale? Favorire l’audience development? Espandere i servizi nell’ambito dei cd. siti minori? Oppure semplicemente massimizzarne i ritorni economici? Ipotesi, quest’ultima che appartiene ad una visione esclusivamente marketing oriented del patrimonio, che oltre tutto risulta poco percorribile stanti i molti vincoli e limiti di accessibiltà che caratterizzano ancora l’offerta culturale museale italiana.

 

Appare innanzi tutto utile ripercorrere gli aspetti “bersaglio” della polemica in atto, in cui confusione e strumentalizzazioni regnano sovrane.… e si confondono biglietti con servizi, incassi con guadagni.

 

1. A giugno, Merlo, dalle pagine de La Repubblica, attribuiva al gestore il 50% degli incassi di biglietteria del Colosseo, senza conoscere la normativa vigente che limita al tetto del 15% (aggiornato al 30% dopo il D.M. n.222/2005) l’aggio per il concessionario.
2. A novembre, Fantuzzi su L’Espresso accusava sempre il concessionario della Domus Aurea di trattenere come aggio ben il 70% del biglietto, senza sapere che alla Domus non esiste un “biglietto” ma un complicato servizio straordinario di visita guidata al cantiere, i cui costi sono sostenuti solo dal gestore, cui spettano gli incassi che includono pertanto tutti gli oneri e una Roy del 30% alla Soprintendenza, entro i limiti predefiniti per sicurezza di circa 1.000 visitatori a week end, tempo permettendo. Altro che “gallina dalle uova d’oro”!
3. Qualche settimana dopo, lo stesso giornalista, probabilmente dopo aver preso atto del precedente errore, passa ad attaccare i “ricavi” da didattica, libreria, prenotazioni, caffetteria, confondendo introiti lordi con guadagni nella ripartizione tra Stato e concessionari. Sul tema era già intervento Erbani sulle pagine di Repubblica Affari e Finanza qualche mese prima, che proponeva addirittura una soluzione rovesciata: 10% ai concessionari e 90% allo Stato!

 

Evidentemente la questione dei costi sfugge ai giornalisti anche del settore economico e pertanto, sebbene possa tutto ciò sembrare molto ovvio, vale la pena ribadire che:

 

a) i ricavi dei servizi servono innanzi tutto per coprire i costi esclusivamente a carico del gestore (personale di front office e di back office e relative spese di coordinamento, le tecnologie di supporto, le spese generali, gli investimenti per arredi e attrezzature, i prodotti editoriali e di fruizione);
b) molti costi sono fissi, non variabili, quindi spesso (e facilmente nei musei sotto i 100.000 visitatori) non generano guadagni quanto piuttosto perdite, anch’esse solo a carico del concessionario;
c) le concessioni in essere sul territorio nazionale non sono tra loro confrontabili dal momento che i costi a carico del concessionario cambiano rispetto al tipo di contratto stipulato di volta in volta tra le parti: se a Pompei l’aggio di biglietteria è inferiore che altrove è perché i servizi no profit di guardaroba, informazione e accoglienza sono attualmente remunerati ad altro gestore con un diverso contratto di appalto.

 

Certamente il partenariato pubblico privato presenta margini di miglioramento se (e solo se) ripensato nell’ambito di un quadro di programmazione economica e territoriale più lungimirante (e noi in tal senso da tempo forniamo al Ministero osservazioni e dati utili di benchmarking) e di regole innovative e certe e alla luce di parametri valutativi di “interesse pubblico” che non si basino esclusivamente sui ricavi diretti. Infatti l’impresa culturale è in grado di:

a) garantire allo Stato sia un guadagno diretto (roy, canoni, tassazione IRAP IRES, IVA sui ricavi, oneri sociali/Inail quota azienda) che molti altri ricavi indiretti (oneri sociali quota dipendente, IRPEF dipendenti). Per fare un esempio che ci coinvolge da vicino, solo nel 2013 CoopCulture ha riversato nelle casse dello Stato oltre 14 milioni di Euro, il 35% del proprio fatturato tra tasse dirette e indirette;
b) fornire un’occupazione qualificata in un settore in cui le assunzioni sono ferme da anni (solo in CoopCulture sono in servizio oltre 1.200 professionisti di cui l’84% inquadrato a tempo indeterminato);
c) innescare occasioni di fatturato e di crescita all’industria creativa nel suo complesso per il tramite dei servizi aggiuntivi (editoria, tecnologia, performing arts, marketing e comunicazione,..);
d) valorizzare un intero sistema produttivo in termini di accoglienza di qualità, efficacia organizzativa, stimoli all’industria turistica (agenzie di viaggi, tour operator,..).

 

Viene da domandarsi se soluzioni come quelle ventilate in questi ultimi giorni dallo stesso Ministero ed in particolare il ricorso ad Ales (Sottosegretario Borletti Buitoni durante l’Audizione alla Camera del 22 gennaio 2015) atte a “recuperare nella titolarità pubblica i servizi aggiuntivi maggiormente redditizi” possano essere altrettanto rendicontabili in termini di utilità pubblica rispetto all’impresa, in specie quella cooperativa che ha al centro della propria mission la persona ed il lavoro, e se questo genere di affidamento diretto possa essere ritenuto trasparente e legittimo.

Viene da domandarsi se non sia quindi solo strumentale accusare i privati di essere in proroga e di non volere le gare. Noi sono anni che aspettiamo i bandi e ci prepariamo a parteciparvi, auspicando che il tutto possa avvenire in un clima meno avvelenato e in un livello più qualificato di analisi e di critica. Grazie fin da ora a coloro che vorranno dare una mano. Cordialmente.

 

Giovanna Barni, presidente di Coop Culture