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“Miserella” del Teatro dell’Argine apre la Stagione 2024-25 dell’ITC Teatro

Dopo il debutto a Kilowatt Festival, da mercoledì 16 a domenica 20 e da mercoledì 23 a domenica 27 ottobre 2024 apre la Stagione 2024-25 dell’ITC Teatro “Miserella”, il nuovo spettacolo del Teatro dell’Argine, per la regia di Micaela Casalboni.

“Miserella” è il nome popolare dato nel dialetto toscano alla pianta nota come Daphne Mezereum, detta anche “fior di stecco” perché, su un gambo all’apparenza secco, morto, ospita una miriade di fiori.  

Miserella è un lavoro di teatro d’attore, anzi d’attrice, sul tema del corpo che cambia, che invecchia, che decade, che si trasforma, in particolare il corpo femminile, ma non solo.  

Chi sono io quando nasco? E chi (cosa?) divento quando cresco, muto, mi trasformo, fino quasi a non riconoscermi nello specchio o a non riconoscermi nel mio corpo, che non obbedisce, duole, si rifiuta, fa ma poi si spezza? Ginocchia, voce, schiena, mani, occhi (e occhiaie e occhiali), capelli (tinti), ritmo del sangue, sinapsi e neuroni, sensi e sensibilità, forza vitale e decadimento.  

In scena, quattro donne, quattro attrici, quattro corpi, diversi fra loro, che agiscono lo spazio e la voce alla ricerca di un nuovo patto con il proprio sé che cambia, corpo infortunato, corpo di madre, corpo di attrice, corpo di ballo, corpo sterile, voce-corpo che si astrae da sé per guardarsi dall’esterno.  

Nel far questo, esplorano umori, atmosfere, situazioni, casi, memorie proprie e altrui, che si susseguono e si richiamano non secondo una trama lineare, bensì abitando piani diversi che si intrecciano, mescolando ironia e inquietudine, sarcasmo e sofferenza, sopraffazione e solidarietà, depressione e gioia ritrovata, in uno spazio che potremmo definire surrealmente quotidiano, una specie di sala d’attesa (o Purgatorio? Limbo?): lo spazio della cosiddetta Mezza Età, che non è ancora Vecchiaia, che non è più Gioventù, che non si sa davvero che cosa sia, ma si sussurra che non sia niente di buono…  

In Age Pride (2023), Lidia Ravera scrive che le varie età della vita sono come Paesi nei quali si arriva senza conoscerne lingua, geografia, usi e costumi. Ecco, Miserella indaga il Paese dell’Età di Mezzo, che non è Medioevo, ma solo un nuovo Mondo da conoscere e, soprattutto, da vivere. Per scoprire, infine, che «bisogna essere agili. Non giovani, agili. Bisogna imparare a muoversi a tempo, nel tempo». 

Miserella
Uno spettacolo del Teatro dell’Argine 
Con Caterina Bartoletti, Micaela Casalboni, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi 
Parole di Caterina Bartoletti, Nicola Bonazzi, Micaela Casalboni, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi 
Collaborazione alla regia Andrea Paolucci 
Regia Micaela Casalboni 
Scenografia Nicola Bruschi 
Costumi Sabrina Beretta 
Musiche originali Davide Sebartoli 
Luci William Sheldon 
Cura del gesto coreografico Daniele Ninarello 
Assistente scenografa Carmela Delle Curti 
Assistente alla regia Laura Gnudi 
Responsabile di produzione Francesca D’Ippolito 
Foto Luciano Paselli

Si ringraziano Alessandro Mor e tutte le persone che hanno contribuito al lavoro con i loro racconti e le loro esperienze 
Con il sostegno di Qui e Ora Residenza Teatrale, C.U.R.A. Centro Umbro Residenze Artistiche,Centro di Residenza della Toscana (Fondazione Armunia Castiglioncello – Capotrave/Kilowatt Sansepolcro), Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna (L’Arboreto – Teatro Dimora/La Corte Ospitale) 

Note di approfondimento, Micaela Casalboni, Teatro dell’Argine

Quattro donne. Anzi, tre più una. Anzi, tre contro una.
Quattro corpi diversi tra loro, tre pronti e uno in stand-by; tre che ce l’hanno fatta e uno che pensa che non ce la fa più, che non ce la farà mai.
Quattro donne: come a dire una moltitudine e nessuna. Come a dire che siamo diverse (e diversi).
Come a dire che il mio dolore e la mia paura hanno diritto di cittadinanza quanto la tua vitalità scoperta in tarda età, che l’angoscia di chi si sente “sparire un pezzo per volta” convive con il cerchio di comunanza, sorellanza e fratellanza che possiamo, volendo, cercare e coltivare intorno a noi, per compensare quella visione di futuro che, da lontana e profonda, si fa di giorno in giorno più vicina e ristretta.
Come a dire: nell’attesa di un mondo più su misura, e di un tempo più su misura, usciamo fuori dal guscio dell’età e rientriamo nel nostro corpo:

Ti specchi
mi specchio
magari non mi guardo
o forse sì
Mi guardo e mi dico:
bello, sono sempre io.
E allora mi dico:
se lo merita
il mio corpo
me lo merito io.
Ti abbraccio
Mi tieni per mano
Camminiamo piano
E andiamo
Tanto c’è tempo, adesso.

Il nodo centrale di questo lavoro è il corpo che invecchia, soprattutto quello femminile, ma non solo.

Non si parla di corpo anziano, dunque, bensì del corpo còlto in quella fase di passaggio comunemente chiamata mezza età, che ha il potere di metterci in discussione e addirittura in crisi, come forse solo il corpo adolescente ha saputo fare nelle nostre vite.

Chi sono io quando nasco? Chi divento quando, nel crescere, mi trasformo, fino quasi a non riconoscermi? Dove va a finire la mia energia, la capacità di recupero dopo un infortunio, il mio senso di indistruttibilità, la visione larga e profonda del futuro? Dove vanno a finire quando non tanto lo spettro della morte, quanto quello della malattia, che ho visto da vicino fin da bambina, aleggia prima attorno alle persone care della mia vita e poi si avvicina tanto da non essere più uno spettro, ma una concreta, solida realtà con la quale fare i conti?
Chi sono, adesso, io? Sono sempre io?
E gli altri e le altre attorno a me? Loro sono ancora loro mentre io cambio? Mi vedono? Come mi vedono?
Cominciamo con lo scartabellare vecchie e nuove fonti.
«Senectus ipsa est morbus», scriveva Publio Terenzio Afro nel 160 a.C.
Francesca Rigotti, in De senectute, argomenta che «questa non è un’epoca per vecchi: nell’orgia di giovanilismo che contraddistingue i nostri giorni, donne e uomini anziani sono esposti a una sorta di rottamazione che nasce da un ingiustificato astio verso rughe e capelli bianchi».
Sull’altro versante della riflessione sull’ageismo, Fuani Marino in Vecchiaccia depreca l’ostinazione dei vecchi a voler prolungare la propria vita, complici il progresso e la ricerca medica. Li definisce ingombranti, egoisti, decisi a mantenere un ruolo centrale nella società e nel mondo del lavoro, decisi a non farsi da parte, in un’epoca in cui senza speranze spesso sono i giovani, e non i vecchi.
Una lista lunghissima di esperte poi, tra cui Martha Nussbaum e Lidia Ravera, i numerosi contributi sul tema su riviste come “DWF Donna Woman Femme”, fino al podcast Vietato invecchiare di Francesca Barra e Silvia Galeazzi, collegano il tema dell’ageismo a quello del femminismo, trascorrendo di pregiudizio in pregiudizio, attraverso epoche che hanno reso e rendono tuttora difficile quando non crudele invecchiare, in modo particolare per le donne. E propongono interessanti e sorprendenti vie alternative al ritiro, all’omertà, alla depressione, quando non addirittura alla vergogna e all’impossibilità di accettazione.
Nella nostra ricerca per Miserella, pur avendo indagato con grande curiosità gli aspetti filosofico-sociologici del tema, la nostra attenzione si è aperta soprattutto all’ascolto di ricordi ed esperienze delle persone in rapporto al corpo che cambia: donne soprattutto, ma non solo; over 45, ma non esclusivamente.
Complice il meraviglioso percorso che abbiamo potuto compiere nell’arco di un anno tra la nostra casa base, l’ITC Teatro a San Lazzaro di Savena, e i centri di residenza a Verdello (BG), Foligno (PG), Rosignano (LI), Mondaino (RN) e San Marino, abbiamo incontrato e ascoltato, attraverso pratiche teatrali e di scrittura e interviste, decine e decine di persone che hanno condiviso con noi memorie e riflessioni, paure e gioie, limiti e libertà ritrovate di una vita.
Grazie alle comunità generose delle residenze, abbiamo scoperto che quello sguardo “nero”, il mio sguardo, verso la mezza e la terza età non è poi così comune (per fortuna!): c’è chi la sua vita vera e libera ha cominciato a viverla dopo i 60 anni; c’è chi rimpiange i 20 anni per l’energia, ma non per l’immaturità; c’è chi ha scoperto tante cose legate al corpo (il sesso, le amicizie, il teatro!) solo in età avanzata, una volta terminati il lavoro e le cure familiari.
In principio hanno nutrito le nostre visioni anche opere d’arte soprattutto contemporanea – installazioni, pittura, scultura, ma anche le marionette ibride di Natacha Belova e gli attori/pupazzi di Kantor, anche lettere di Leopardi A una fanciulla e testi di Beckett e Testori – che hanno ispirato il lavoro di creazione sia fisico che di parola.
Qui si posizionano anche il percorso preliminare fatto con Alessandro Mor, attore e danzatore incontrato nella prima residenza, e il lavoro di cura del gesto coreografico fatto nell’ultimo mese con Daniele Ninarello, coreografo e danzatore noto per intrecciare la sua ricerca da sempre con i corpi più diversi.
Ogni residenza ci ha regalato, oltre agli incontri con le persone intervistate, gli sguardi preziosi dei curatori e delle curatrici, che ci hanno aiutato a (s)comporre man mano il lavoro: la struttura a quadri collegati ma indipendenti; la diversità dei ritmi e dei sapori, che trascorrono dalla surrealtà ironica e sorniona, al dramma ansioso, all’immediatezza buffa e talvolta sconcertante delle narrazioni e dei movimenti; lo stile pop e colorato di questa zona d’attesa sospesa e non meglio identificata…
Ogni residenza ci ha regalato il lusso di lavorare insieme, io e le mie tre compagne di scena e co-autrici Caterina Bartoletti, Giulia Franzaresi e Ida Strizzi, attrici e arginine di lungo corso ma più giovani di me.

Già, perché anche il Teatro dell’Argine sta invecchiando.

Il 17 maggio 2024 la Compagnia ha compiuto 30 anni. I suoi membri, cioè noi, compagni e compagne di breve e di lungo corso, ne compiamo 50 (e rotti), 40, 30, 20… Miserella è anche un regalo che abbiamo voluto farci nella stagione del nostro trentennale: avviare un percorso di ricerca lungo e profondo, talmente lungo da essere antistorico, sicuramente antisistema, almeno per noi in questa fase. Farlo facendoci ospitare e ispirare da amiche e amici vecchi e nuovi in tutta Italia. Farlo coinvolgendo l’intera squadra artistica del Teatro dell’Argine lungo tutto il cammino, in particolare Andrea Paolucci e Nicola Bonazzi, come facciamo con i progetti mastodontici, come abbiamo fatto con alcuni tra gli spettacoli che abbiamo amato di più, Tiergartenstrasse 4, Gli equilibristi, Liberata. Perché il tempo può essere nemico crudele, ma anche alleato di nuove avventure, purché, come scrive Lidia Ravera, si impari «a muoversi a tempo, nel tempo». 

 
ITC TEATRO DI SAN LAZZARO
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