“Pillole maledette. Il doping, la faccia oscura dello sport” in uscita il libro di Giulio Mola, edizioni All Around
Il confine tra illegale e legale passa per una pillola, anzi per un cocktail di pillole e beveroni micidiali. Benvenuti nell’inquinato mondo dello sport, dove a doparsi non sono oggi solo i campioni – che lo fanno per tenere alto il nome, l’ingaggio e il blasone della squadra – ma anche i ragazzi sui campetti di periferia o nelle palestre del Belpaese, quando non addirittura gli sportivi della domenica, che pur di battere in una gara il collega di ufficio o il vicino di casa mandano giù tutto e di più.
Del lato oscuro dello sport ci parla, in un libro che si legge come un romanzo pur essendo una documentatissima inchiesta, Giulio Mola in Pillole maledette. Lo sport intrappolato dalle illusioni del doping in questi giorni in libreria per le edizioni All Around.
A firmare la prefazione è una delle firme storiche del giornalismo sportivo, Xavier Jacobelli che sottolinea come oggi il doping sia diventato un “fenomeno di grandi numeri, con molti punti di contatto con la droga e sta generando traffici internazionali manovrati dietro le quinte dalle multinazionali farmaceutiche”.
Un libro che racconta le storie vere di atleti di ogni età dopati o costretti a doparsi. Uomini e donne talmente coinvolti nel meccanismo infernale del doping che non si vergognano nemmeno più di essere smascherati in mondovisione.
Giulio Mola nel volume allarga lo sguardo al panorama mondiale, perché mondiale è il fenomeno delle “”. Si va dagli analettici agli anabolizzanti, da dosi massicce dell’ormone della crescita all’uso sic et simpliciter di droghe eccitanti. E quando non bastano questi espedienti si fa ricorso a pratiche terapeutiche, come le pericolosissime autoemotrasfusioni per migliorare artificiosamente le prestazioni agonistiche. I numeri e il giro d’affari della pratica del doping sono da brivido se è vero, come è vero che il “fatturato complessivo dei farmaci con valenza dopante parte dai 700 milioni e sfiora il miliardo di euro”.
E dove girano tanti soldi c’è anche tanto, tantissimo, marcio. Il supermarket del doping è dietro ogni angolo, passa per gli spogliatoi, gli studi medici delle squadre, gli staff, le farmacie ma anche, e oggi soprattutto, per i siti internet. Un pericolo gigantesco per la salute. Poche decine di euro e ti senti un leone, tranne il particolare che quella roba che viene mandata giù è veleno. Che alla lunga finisce addirittura per uccidere.
Ma loro, gli “sportivi con l’aiutino”, come si difendono? A volte con scuse che sembrano quelle di un bambino pizzicato con le mani sporche di marmellata. Mola offre ai lettori anche un campionario delle scuse più bislacche che si possano immaginare.
Per dire, Sara Errani, simbolo della racchetta italiana risulta positiva al letrozolo – stimolatore ormonale proibito – in un controllo a sorpresa del 16 febbraio 2017 e dà la “colpa” al consumo di tortellini. Dopo un processo secretato dalla Federazione internazionale (Ift) la tennista se l’è cavata con due mesi di squalifica rispetto ai 2/4 anni di tutti i casi analoghi.
Il marciatore spagnolo Daniel Plaza, poi, ha inventato una delle scuse più originali. “Giustificò la sua positività come conseguenza di un atto sessuale. A sentire l’atleta, un rapporto orale con la moglie che era in stato di gravidanza, gli aveva causato un aumento del tasso di nandrolone”.
Parole che strappano un sorriso. Amarissimo, però.
Al vertice della piramide criminale non ci sono solo trafficanti senza scrupoli. Ci sono anche gli stati. E un capitolo del libro è dedicato al doping di stato nei paesi dell’Est, in primo luogo nell’ex Ddr (Repubblica democratica tedesca). Lì la macchina del doping ha creato dei mostri. “Donne che avevano improvvisamente ‘cambiato sesso’, atleti-uomini che, sottoponendosi come ‘cavie’ ai test farmaceutici del laboratorio di Lipsia e dintorni, avevano contratto tutti i tipi di patologie a cominciare dai tumori al pancreas, al fegato e le leucemie”. Molti di loro hanno avuto momenti di gloria e medaglie – a uso e consumo della propaganda politica del loro paese – grazie a quegli “aiutini chimici”, ma una volta usciti di scena, sono andati incontro a morti precoci. Vittime, inconsapevoli o meno, della guerra fredda dello sport.
Nessuna disciplina può dirsi immune dalle “pillole maledette”. Anche se, per quel che riguarda l’Italia, i consumatori più assidui sono senz’altro i calciatori. “Ci sono – scrive Mola – gli idoli delle curve che ci ricascano, per una flebo di troppo, per una puntura che poteva non essere necessaria, per una pasticca che si può sempre giustificare, per una medicina che avrebbe dovuto far del bene e che invece ti porta lentamente verso l’inferno, con biglietto di sola andata. C’è un calcio sempre più malato e malati che muoiono sempre di più per colpa del calcio. Anche se si continua a far finta di nulla”.
Nel libro anche l’intervista a un ex calciatore che continua a lavorare nel mondo del pallone e per questo ha chiesto di mantenere l’anonimato. E quello che dice è un atto di accusa fortissimo al sistema del doping e alle omertà che lo circondano. Un sistema che coinvolge sì alcuni dirigenti ma che chiama in causa proprio loro i calciatori “più complici che vittime degli staff medici”.
A dare una mano ai furbetti dello sport ci si è messo anche il Covid-19 che ha costretto ad annullare o a rimandare tanti eventi sportivi (su tutti gli Europei di calcio “itineranti” e le Olimpiadi di Tokyo).
Il rischio adesso è che grazie al virus, saranno non pochi i “miracolati” che verranno rimessi in corsa. Sono una ventina le medaglie olimpiche che stanno scontando una squalifica per doping di quattro anni e che potrebbero beneficiare dello slittamento al 2021 dei Giochi Olimpici.