Oltre la metà dei lavoratori guadagna meno di 10mila euro l’anno, la tipologia contrattuale più diffusa è il “Multiservizi”
Il 69 per cento dei lavoratori dipendenti del settore culturale guadagna meno di 8 euro l’ora, il 50,37% meno di 10mila euro l’anno e il 72,3 per cento meno di 15mila euro l’anno. La musica non cambia tra i lavoratori autonomi, di cui il 40,2 per cento guadagna meno di 8 euro all’ora e il 55,8 per cento meno di 10mila euro l’anno. Per il 54,10 per cento dei lavoratori dipendenti il guadagno non è sufficiente per vivere autonomamente (per il 32,8 per cento è “appena sufficiente”); per gli autonomi queste percentuali salgono rispettivamente al 57 per cento e al 32,10 per cento. E’ quanto emerge dall’indagine “Cultura, contratti e condizioni di lavoro” realizzato dall’associazione “Mi Riconosci” i cui risultati sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio. Presenti, oltre alle attiviste dell’associazione, anche i deputati Anna Laura Orrico (M5S), Matteo Orfini e Chiara Gribaudo (Pd), Elisabetta Piccolotti (Avs), il direttore di Federculture, Umberto Croppi. Nel corso della conferenza, l’associazione ha rilanciato la richiesta di riforme strutturali che tutelino i lavoratori, offrano opportunità di lavoro dignitose e rispettose dei servizi culturali che i lavoratori garantiscono. A questo si aggiunge l’esigenza impellente di risolvere l’endemica carenza di personale nelle pubbliche amministrazioni, che causa rallentamenti, disservizi ed eccessivo carico ai pochi dipendenti rimasti.
Al questionario hanno partecipato 2526 persone, per la maggior parte lavoratori/lavoratrici con almeno una laurea/diploma di I livello, in maggioranza donne. Le tipologie contrattuali più diffuse tra i lavoratori dipendenti sono il “Multiservizi”, seguito da “Commercio”, “PA”, “Federculture”. Per quanto riguarda gli autonomi, il 61,10 per cento è a partita Iva, il 29 per cento a prestazione occasionale/ritenuta d’acconto. L’indagine si è focalizzata anche su eventuali casi di “mobbing, atteggiamenti intimidatori o punitivi, in seguito all’avanzamento di legittime richieste al datore di lavoro”: Il 40 per cento, emerge dall’inchiesta, ha subito mobbing o è stato vittima di atteggiamenti intimidatori o punitivi.
“Abbiamo scelto la data del 17 gennaio, il trentennale della Legge Ronchey (4/1993), perché vediamo in quella legge un momento decisivo di peggioramento delle condizioni di lavoro nel settore dei beni culturali italiani” spiegano le attiviste. “La messa in atto della legge Ronchey, trent’anni fa, ha ben presto condotto all’esternalizzazione anche di alcuni servizi fondamentali offerti dalle istituzioni museali, come biglietterie, accoglienza e didattica. Da questo momento i soggetti privati hanno purtroppo operato nell’ottica della massimizzazione del profitto, attraverso l’abbattimento dei salari dei dipendenti, offrendo contratti sempre meno gratificanti e, molte volte, al limite della decenza” spiega Rosanna Carrieri, storica dell’arte e attivista.
“I risultati del questionario fotografano una situazione emergenziale che necessita di un tempestivo cambio di rotta” spiega Federica Pasini, tra le curatrici dell’inchiesta: “L’applicazione del contratto di settore continua ad essere una condizione molto rara, il sottoinquadramento dei lavoratori quasi la regola. La libera professione nella maggior parte dei casi non è una scelta ma un’imposizione, anche nel caso in cui il lavoro abbia tutte le caratteristiche di quello dipendente”.
“Il lavoro in cultura deve essere un lavoro qualificato, e per essere qualificato deve essere giustamente retribuito e deve dare quei gradi di tranquillità e di gratificazione che consentano al lavoratore di svolgere un ruolo così delicato di natura sociale. La nostra prospettiva è quella di mettere mano, ci stiamo lavorando, a uno statuto dei lavoratori della cultura, che sia la tappa di un percorso che dovrebbe portare al contratto unico, sia pure molto articolato”, ha annunciato Croppi.
“Leggendo l’indagine salta agli occhi l’importanza di approvare in Italia una legge sul salario minimo se vogliamo veramente garantire condizioni normali di lavoro in un paese che afferma in ogni occasione l’importanza della cultura e del patrimonio culturale”, ha sottolineato la capogruppo M5S in commissione Cultura della Camera, Anna Laura Orrico.
“Da questo lodevole questionario emerge una situazione devastante dei lavoratori della cultura, sia dal punto di vista dei salari che sono bassissimi sia delle tutele perché ci sono troppi diritti mancanti”, ha detto ad Agenzia CULT la deputata Elisabetta Piccolotti (Avs).
“I dati di oggi confermano quanto la precarietà sia molto più forte nel settore dei beni culturali e incida sulla vita delle persone. E’ innanzitutto fondamentale rimarcare come questi siano lavoratori a tutti gli effetti, non lo fanno per sport o volontariato, per cui vanno loro riconosciuti diritti e tutele che ancora oggi mancano”, ha aggiunto ad Agenzia CULT la deputata Chiara Gribaudo (Pd).
(Fonte: AgCult.it)