All Around: Guerra per immagini. Fotoreportage dall’Ucraina di G. Di Benedetto

Guardare la guerra è diverso da viverla. Il fotoreporter è lì, dentro la scena. Lo spettatore è fuori, al sicuro.

Il libro “Guerra per immagini” di Giacomo Di Benedetto parla di questo confine. Le immagini raccontano, ma anche nascondono. Mostrano, ma anche selezionano.

Le foto di guerra fissano il dolore. L’obiettivo è raccontare la verità, ma il rischio è trasformare la tragedia in spettacolo. Il problema non è solo chi scatta, ma anche chi guarda. Le immagini scioccano, fanno indignare, ma cosa succede dopo?

Giacomo Di Benedetto analizza il lavoro di fotoreporter come Lynsey Addario, Evgeniy Maloletka, Emilio Morenatti, Daniel Berehulak, Nicole Tung. Le loro foto finiscono sulle prime pagine dei giornali. Mostrano corpi senza vita, edifici distrutti, persone in fuga. Raccontano la guerra come fallimento della politica.
Il fotogiornalismo è memoria. Documenta quello che accade per evitare che venga dimenticato. Ma ogni immagine è anche una scelta. Cosa inquadrare? Cosa lasciare fuori? Il reportage di Carol Guzy sul massacro di Buča o quello di Alfredo Bosco sulle fosse comuni di Izjum non sono solo cronaca. Sono prove.

«Se la missione della politica è promuovere la vita e il benessere, i fotoreportage di guerra sono l’attestato del suo fallimento».

Le immagini di guerra sono strumenti di informazione, ma anche di potere. Una foto può smentire una propaganda, confermare una versione ufficiale, rafforzare un’opinione. La guerra in Ucraina ha mostrato come il fotogiornalismo sia diventato parte del conflitto. Le immagini si combattono tra loro, proprio come le parole. Di Benedetto si chiede se la fotografia di guerra sia ancora giornalismo o sia diventata qualcos’altro. Una foto può fermare una guerra? Può cambiare un’opinione? Oppure è solo un contenuto in mezzo a migliaia di altri?

Le immagini di guerra ci arrivano ovunque. Scorrono nei feed dei social, occupano le prime pagine, diventano icone. Ma cosa significa davvero guardarle? Il libro di Giacomo Di Benedetto non offre risposte facili. Costringe a fare i conti con il ruolo di chi osserva. Il fotoreportage è denuncia, memoria, testimonianza. Ma è anche una scelta. Mostrare una guerra significa raccontarla da un punto di vista, escludere un pezzo di realtà per metterne in luce un altro. Nessuna immagine è neutra.
 
Non sono i fotoreporter a dover rispondere di voyeurismo. Siamo noi, che guardiamo, a doverci chiedere cosa facciamo di quelle immagini. Indignazione? Mobilitazione? O semplice consumo?
Guardare non basta. La verità non è solo nelle foto, ma in quello che decidiamo di farne.

Info: edizioniallaround.it

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