Home News Cultura Assemblea Teatro, Renzo Sicco è tra i vincitori del premio “Letteratura d’Amore” 2022

Assemblea Teatro, Renzo Sicco è tra i vincitori del premio “Letteratura d’Amore” 2022

Sono stati proclamanti domenica 13 febbraio 2022 nel Salone polifunzionale della Circoscrizione 3 di Torino i vincitori della 29esima edizione del Premio nazionale Letteratura d’Amore 2022, il concorso nazionale per poesia e narrativa breve promosso dal Centro Studi Cultura e Società (https://culturaesocieta.gsvision.it/). La premiazione è poi stata ripetuta in video conferenza, martedì 15 febbraio alla presenza, in collegamento, di tutti i vincitori.

Tra i premiati c’è anche Renzo Sicco, Direttore artistico di Assemblea Teatro, che, con Il racconto di Roy, ha ricevuto la menzione della Giuria nella sezione “narrativa breve”. 

“Risulto tra i premiati del Premio nazionale Letteratura d’Amore.
Ho proposto un testo dove di Amore ce n’è davvero molto, quello per mio padre, quello per mia madre, quello per il mio primo cane, quello per una donna da cui mi sono separato dopo 15 anni di relazione, quella per il mondo e per le città dove vivo, ma tutto questo ruota attorno all’amore più grande che ho avuto per un animale. Un piccolo cane di nome Roy, un trovatello di razza, uno shitzu, ma abbandonato, e con tutti i traumi del caso. Ha trovato me, in un periodo di uguale dispersione. Proprio quella reciproca condizione disperata è stata il collante del nostro rapporto.
Poi, il suo carattere straordinario, ha fatto sì che diventasse la mascotte di Assemblea Teatro, amato da tecnici e attori e da tanti spettatori.
Dopo quasi 20 anni dalla sua scomparsa vince un premio perché io ho scritto il racconto ma chi merita il premio è lui, perché nello scrivere quel testo la mano si è messa a correre raccontando la sua storia miscelata alla mia, ma è la sua storia quella che ha vinto.
Il premio se lo merita tutto Roy.”

Renzo Sicco

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IL RACCONTO DI ROY

Ero rientrato molto tardi, avevamo iniziato da pochi giorni le prove di un nuovo spettacolo e in preda al “furore creativo” si stava in sala prove sino a notte fonda. Mi ero addormentato dopo le tre e quel trillo di telefono mi scosse da un sonno pesante e denso. Erano da poco passate le sei. Mio padre era morto da poco più di due mesi e il mio primo agitato pensiero era corso a mia madre. Avevo il telefono in corridoio. In mutande e a piedi scalzi mi lanciai all’apparecchio in preda a quel panico che ti rimane dentro dopo periodi duri, e tali erano stati gli ultimi tragici quattro mesi di vita di papà.

“Scusa se ti chiamo a quest’ora ma spero ti ricordi di Roy”.

Era una voce di donna dall’accento straniero e in quel tumulto della mia mente mi ricordava un piccolo cane che per caso avevo fugacemente incontrato un pomeriggio di ottobre.

“Sì, mi ricordo” le risposi.

“Senti, ho cambiato lavoro e non posso più tenerlo e così ho pensato di chiamarti. Tu mi hai detto che se io bisogno tu puoi aiutare”.

Avevo messo lucidamente a fuoco tutto.

“Io questa mattina alle otto devo essere al nuovo lavoro e non posso portarlo, tu devi prendere subito Roy”. Di fronte a quella doppia disperazione che bussava alla mia stanchezza non esitai e dissi: “Va bene, passa, ti aspetto”.

Così poco dopo le sette rincontrai Roy per non lasciarlo più sino ad un’altra telefonata, in cui mi esplose il cuore quando mi comunicarono, al ritorno da un viaggio in Africa, che il 31 dicembre 1997, nel pomeriggio, dopo tre giorni di crisi epatica, era morto dormendo.

Arrivò impetuoso e dolce con quel carattere che avrei conosciuto, capito, condiviso e anche un po’ imitato ed acquisito, perlustrando curioso la casa di cui si sarebbe appropriato. Ci vivevo da solo da otto mesi dopo averla condivisa per oltre dieci anni con Marina e Coca.

Della prima a Roy non sarebbe interessato troppo, o di certo meno che a me, la seconda era invece una femmina di pastore belga che nella divisione dei beni di una coppia civile e democratica come la nostra era finita con la “madre” e Roy ne individuava ancora bene gli odori e le tracce.

Anche Coca era un trovatello, risaliva al tempo del servizio militare ed era nata nel periodo natalizio da una bastardina che viveva da sempre di diritto dentro la caserma in Abbadia Alpina. Aveva partorito cinque cuccioli che, per la presenza della neve, erano divenuti in poco tempo degli splendidi orsetti di peluche. Marroni i quattro maschi, nera lei, l’unica femmina. I primi furono subito piazzati, rimase sotto rischio di annientamento lei, la piccola. Bastò anche allora una telefonata proprio a Marina, per un soccorso-balia semestrale, tanto era il tempo che mi divideva dal congedo. Marina arrivò e, ne ero certo, come vide Coca non seppe che accogliere la cucciola.

La stessa cosa stava accadendo adesso mentre ero confuso tra il salutare la signora, senza sapere bene cosa si fa in questi casi mentre lei era travolta da uguale imbarazzo, ed il guardare questa piccola furia impossessarsi della cuccia di Coca che in otto mesi non avevo ancora saputo spostare.

Chiusi la porta e facendolo mi resi conto di firmare un matrimonio come quelli imposti dalle famiglie tra due sconosciuti. Ci eravamo visti pochi minuti un giorno, poi il caso e Meucci ci faceva stringere un patto contro le nostre totali solitudini.

Ero stanco e non per le tre ore di sonno, ma di una stanchezza dentro, quando la vita ti passa addosso, e ti tritura, e sapevo che anche Roy voleva uscire dall’incertezza: volevamo entrambi un’identità e l’avremo cercata insieme.

Tanto valeva mettersi subito in cammino e così scendemmo per la nostra prima passeggiata che sarebbe durata sette anni, tale e quale, cioè senza guinzaglio. Infatti da subito Roy mi fu di una fedeltà e di un’obbedienza totali, tanto più incredibili in un corpicino che era argento vivo.

Ma proprio questa straordinarietà di intelligenza e maturità unite alla simpatia dell’aspetto e del carattere, lo resero nel tempo mascotte della compagnia teatrale e di un intero isolato, quello in cui vivo. Roy era un bellissimo esemplare di shitzu bianco e grigio, uno dei primi a giungere in Italia a metà degli anni Ottanta. Una meravigliosa stella di pelo grigio sulla fronte. Valore tra il milione e mezzo e i due milioni di vecchie lire, un regalo per ricchi e tale infatti doveva essere stato.

In seguito però gli “arricchiti” da cui Roy era involontariamente pervenuto avevano avuto un trasferimento di lavoro all’estero, probabilmente in un paese dove per gli animali esisteva la regola della quarantena. Decisero di lasciarlo da solo a Torino. Roy si trovò unico abitante di una casa vuota in cui il solo segnale di vita era la donna delle pulizie che una volta al giorno passava a garantire un giro per i bisogni e il cibo per la sopravvivenza. Non so quanto abbia resistito, ma col carattere robusto che si ritrovava, iniziò ad abbaiare giorno e notte sino a provocare non la pena, che si sa non è sovente virtù tra i ricchi, ma l’ira del vicinato che attese rabbioso la donna di colore minacciandola di denunce se non avesse tolto il cane da quella casa.

Cosa che la donna fece giacché, essendo di colore oltre che di basso rango, problemi già ne aveva a sufficienza. Avrebbe potuto eliminarsi almeno quelli nuovi, “perdendo” nella notte l’animale in qualche parco. Ma si sa, la virtù della pietà abita molto più profondamente tra chi meno ha, per cui la donna portò Roy nella sua casa e andò a lavorare, ignara del fatto che la sua tranquillità non corrispondeva a quella dell’animale il quale, vista chiudersi un’altra porta, capì che era mutato solamente il contenitore e non il contenuto della solitudine.

Nuove abbaiate dunque e nuova scenata. Infatti se tra ricchi e poveri non ci si può capire, tra poveri e poveri si può passare per i più scemi del villaggio. Tale dovette sembrare alla donna il ritorno a casa quando fu additata come pazza per essersi portata quel cane nel palazzo. Che “il caseggiato non poteva perdere la quiete” dei bambini urlanti, e degli odori di fritti delle cucine e degli olezzi di varichina che tengono pulite le scale e le altre mille meraviglie che la presenza della furia di Roy insidiava.

La donna non aveva altra scelta che sperare nella comprensione del sarto da cui lavorava e immagino con quanta trepidazione e timore la povera abbia chiesto di poter portare il piccolo con sé al negozio.

Proprio lì ho conosciuto Roy, sotto i piedi della donna alla macchina da cucire, nella sartoria del papà di Rodolfo, un nostro musicista, che ero passato a prelevare prima di uno spettacolo. Lì la donna, timidamente, mi raccontò la storia come si era svolta sino ad allora.

Ascoltai attento la vicenda e accarezzai il piccolo con quella compassione non ancora consapevole che la nostra vita, identica in quei giorni, si sarebbe intrecciata obbligatoriamente, fino ad eliminare tutte quelle porte tra noi e il mondo che il caso aveva messo contro il suo istinto e al tempo stesso contro la mia ragione.

“Il racconto di Roy” è pubblicato nell’Antologia che raccoglie le opere di tutti i premiati del Concorso. (pdf)