Home News Cultura Ad ArtLab Mantova si discute dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale. Un contributo di Giovanna Barni, presidente CoopCulture e vicepresidente vicario CulTurMedia

Ad ArtLab Mantova si discute dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale. Un contributo di Giovanna Barni, presidente CoopCulture e vicepresidente vicario CulTurMedia

GOVERNANCE E SOSTENIBILITA’

di Giovanna Barni, Presidente CoopCulture e Vicepresidente vicario CulTurMedia Legacoop

L’Anno Europeo del Patrimonio Culturale ha il grande pregio di fondarsi su un concetto nuovo e dinamico di patrimonio culturale, inteso come risorsa per il futuro: un’eredità che rigenera la creatività, stimola la produzione culturale, alimenta l’identità ma anche il dialogo, sviluppa le economie dei territori contribuendo alla tutela dell’ambiente, alla riutilizzazione innovativa di spazi e al rilancio di filiere produttive. Una visione quindi di opportunità per il futuro, che coinvolge al contempo istituzioni e destinatari, comunità, imprese, cittadini, in un lavoro comune.   

La principale sfida per il 2018 è allora animare un percorso di trasformazione che, in coerenza con le premesse, non solo affermi un nuovo quadro concettuale ma fornisca anche gli strumenti pratici per sperimentare nuovi modelli sul campo. In questa prospettiva, che parla di impegni concreti, un aiuto ci viene dai principi della Convenzione di Faro (*): il patrimonio culturale è nel contempo un diritto da annoverare tra i diritti sociali ed una risorsa comune abilitante per i cittadini – per la propria educazione e lo sviluppo di competenze, per un lavoro dignitoso –  e per le comunità, alla cui realizzazione contribuisce attraverso la pubblica utilizzazione, rendendosi fattore di inclusione sociale e di sviluppo diffuso.  Se il patrimonio è allora allo stesso tempo diritto e risorsa, è evidente che il suo pieno godimento presuppone un impegno attivo in un processo collettivo cui è chiamata a contribuire una molteplicità di soggetti, che assumono responsabilità comuni anziché logiche individualiste autoreferenziali. Come lo Stato sociale di tipo assistenziale rischia di essere sempre soggetto alle politiche di austerità finanziaria, così la cura e gestione del patrimonio culturale, se riservata solo allo Stato ed esclusa da un processo partecipato e da una filiera a valore aggiunto, rischia di essere percepita come un mero costo, e come tale da contenere attraverso continui tagli o da sottoporre ad una logica di massimizzazione degli introiti. Solo se il patrimonio culturale si apre al contributo solidale e responsabile di tutti gli attori, pubblici e privati, in una governance plurale, esso è in grado di animare una filiera che ne moltiplica il valore sia come fattore di crescita individuale che di sviluppo collettivo.

Un’altra importante conseguenza di questa nuova ottica basata sugli effetti diretti e indiretti piuttosto che sui beni in sé, è che a garantire e monitorare la portata di utilità pubblica non basterà solo la titolarità pubblica della loro gestione; essa infatti deriverà principalmente dalla capacità di ogni modello di gestione di pianificare e rendicontare, sulla base di indicatori delle proprie performance valoriali, in rapporto ad una platea di destinatari quanto più ampia possibile. Il tema dell’accountability e degli indicatori di sostenibilità, nelle diverse dimensioni tanto economica che organizzativa, quanto sociale e culturale,  diventa pertanto centrale non solo per definire le linee guida dei prossimi Bilanci di Sostenibilità di singoli musei ma, auspicabilmente, anche per indirizzare ad una pianificazione sostenibile i nuovi modelli di governance partecipata, fino a fornire ad essi anche strumenti per la selezione e il monitoraggio del contributo dei diversi partner. Tanto le istituzioni quanto le imprese culturali infatti non possono chiamarsi fuori dall’arena: tutte sono chiamate a concorrere alla realizzazione di questo cambiamento verso la sostenibilità, promuovendo responsabilità e consapevolezza della misurabilità della rilevanza economica e sociale del settore culturale, proprio nell’Anno in cui questi temi possono finalmente assumere un peso decisivo nel dibattito politico.  

Infine, non basta condividere l’idea di una governance necessariamente partecipata e plurale. Occorre più concretamente individuare le condizioni, i ruoli, i processi, i fattori abilitanti del modello per massimizzarne la capacità di creare una filiera a valore aggiunto nei territori e nelle comunità.  E i fattori abilitanti sono tanti: riguardano sia i contesti che i ruoli di ciascun attore, e quindi tanto le condizioni minime di infrastrutturazione dei territori e la giusta scala dimensionale di gestioni integrate per una governance sostenibile, quanto le modalità con cui gli attori ai diversi livelli di governo – europeo, nazionale, locale – e nelle forme pubbliche o private, collaborano, oltre che le regole cui ciascuno deve sottostare; riguardano tanto le strategie educative per formare competenze adeguate, nell’ambito della pianificazione, della gestione e della interrelata creatività, quanto adeguate politiche industriali volte ad incentivare l’accesso dei giovani alle buone imprese esistenti o ad assicurare sostenibilità nel tempo alle tante start-up spesso lasciate sole; riguardano tanto gli accordi tra i soggetti pubblici territoriali che intervengono in settori tra loro complementari, quanto le nuove modalità di ingaggio di privati specializzati nell’ambito di un vero e proprio partenariato di progetto, a partire dall’applicazione degli articoli previsti in materia dal nuoco Codice dei contratti pubblici.  Insomma i fattori abilitanti attengono sia a quello che l’istituzione pubblica può mettere in campo per volgere l’iniziativa pubblica e quella economica privata verso l’interesse generale (come previsto dall’art.41 della Costituzione), quanto i doveri di cui di imprese e cittadini devono farsi carico laddove sono anche beneficiari di diritti. E la cooperazione culturale, in quanto impresa tanto a valore economico che sociale e culturale, e pertanto strumento naturale di una nuova economia solidale,  ritengo possa portare un contributo significativo a questa svolta concreta che guarda al futuro.

(*) Chiarissimi sono gli obiettivi della Convenzione, finalizzata (art. 1) a: “a. riconoscere che il diritto al patrimonio culturale è inerente al diritto a partecipare alla vita culturale, così come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; b. riconoscere una responsabilità individuale e collettiva nei confronti del patrimonio culturale; c. sottolineare che la conservazione del patrimonio culturale, e il suo uso sostenibile, hanno come obiettivo lo sviluppo umano e la qualità della vita; d. prendere le misure necessarie per applicare le disposizioni di questa Convenzione (omissis)

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