Home News Comunicazione Riforma editoria: una Nota di commento in vista dei decreti attuativi. Ancora attesa per i Contributi 2015

Riforma editoria: una Nota di commento in vista dei decreti attuativi. Ancora attesa per i Contributi 2015

calari-rid.pngDiciamolo subito: l’approvazione della Riforma rappresenta un fatto importante, al quale crediamo di aver contribuito, come cooperazione, con idee e proposte.

Vorremmo in queste note sottolinearne alcuni passaggi importanti ed alcuni nodi critici: nodi, che sta al Governo, sulla base delle ampie deleghe che il Parlamento gli ha attribuito, affrontare con la dovuta celerità, coerenza e capacità di ascolto.

Prima del merito della Riforma, però, è necessario annotare  un punto dolente e, ad oggi, inevaso nella discussione parlamentare. Nonostante la Riforma dell’editoria sia stata da poco approvata, infatti, il settore dell’Editoria cooperativa e delle altre realtà non profit sta vivendo, ancora una volta, ore difficili di fronte all’incertezza sull’ammontare di quelle risorse a copertura dei contributi 2015 senza le quali è difficile, per molti, traguardare il tempo dell’entrata in vigore della legge di riforma, una volta scritti ed approvati i decreti attuativi in essa previsti. Gli stanziamenti attualmente appostati nel Bilancio dello Stato, a suo tempo definiti con la Legge di Stabilità sono, infatti, del tutto insufficienti a coprire il fabbisogno per il 2015.

Si rischia, di conseguenza, una drastica riduzione dell’esperienza cooperativa e delle altre realtà non profit e, quindi, del pluralismo dell’informazione, proprio nel momento in cui viene approvata un importante legge di riforma che intende tutelarlo. Sarebbe necessario chiudere positivamente a breve questo ennesimo capitolo e guardare definitivamente al futuro e alle nuove regole che la Legge definisce.

La funzione dell’intervento pubblico e la nascita del Fondo per il Pluralismo e l’innovazione dell’informazione.

Il sostegno pubblico alla editoria e più in generale al sistema dell’informazione rappresenta uno strumento indispensabile per correggere, almeno in parte, le distorsioni del mercato. I ricavi pubblicitari, infatti, sono appannaggio per oltre il 51% dell’emittenza televisiva, per circa il 16% dei periodici e per 10% dei quotidiani. Tali risorse per le realtà editoriali cooperative e non profit si attestano a cifre del tutto marginali, rappresentando percentuali dei loro bilanci che vanno dal 3 al 12%, nel migliore dei casi, rispetto a percentuali attorno al 50% dei grandi quotidiani.

Il cuore della Riforma approvata in via definitiva il 4 ottobre sta nella nascita del Fondo per il pluralismo e l’innovazione nell’informazione, destinato al sostegno dell’editoria e dell’emittenza radiofonica e televisiva locale.

Uno strumento, dunque, non una forma di privilegio, per garantire – nel mondo dell’informazione – luogo di esercizio dei diritti di libertà e di democrazia di un paese – il pluralismo delle fonti e la esistenza di voci anche a quelle realtà che non dispongono di forti dotazioni di capitale ma rappresentano idee e valori, danno voce alle comunità locali e arricchiscono la democrazia. Una scelta del legislatore, la costituzione del Fondo, volta anche a sostenere differenti modalità di produrre informazione locale e-o indipendente (giornali di carta e online, radio e tv locali…) ma anche nuove forme innovative di convergenza tra differenti media, cos+ come a sostenere la nascita di nuove start up innovative e a favorire processi di innovazione tecnologica.

Nel Fondo vanno a confluire le risorse destinate oggi al sostegno dell’editoria e dell’emittenza locale e risorse significative provenienti, fino a 100 milioni annui per tre anni, dalle eccedenze degli introiti derivanti dal Canone Rai in bolletta Enel. Anche gli altri fattori di “entrata” che la Legge prevede compongono un quadro significativo di risorse a disposizione di un processo che evidentemente intende favorire una nuova fase di riassestamento, riqualificazione e rilancio dell’informazione giornalistica in Italia. Un processo nel quale anche le nuove imprese giornalistiche non profit autogestite in forma cooperativa possano trovare, dopo soli due anni, l’opportunità di un sostegno alla crescita e allo sviluppo occupazionale e dove la sfida avviata dell’innovazione tecnologica, delle nuove piattaforme cross-mediali condivise, di nuove modalità di produzione e fruizione collaborativa e professionale delle informazioni possa essere adeguatamente incentivata e sostenuta.

Un Fondo a sostegno di diritti, in primis dei cittadini, ad un’informazione libera e plurale che non sarebbe praticabile senza di essi. Ma su questo punto è utile fare chiarezza sul valore modesto e fisiologico di interventi di sostegno che implicano, comunque, una capacità imprenditoriale ed una sostenibilità complessiva da parte dei soggetti editoriali indipendenti. Appare, infatti, significativo sottolineare che l’incidenza del sovvenzionamento a carico dello Stato non supera (dati disponibili per il 2011) la soglia del 36% del fatturato da mercato delle imprese percettrici, mantenendosi in un margine che consente di definire fisiologico per imprese editoriali che vivono sostanzialmente di vendita e pubblicità. Le imprese sostenute dal contributo pubblico, molto radicate nelle realtà locali, impiegano migliaia di giornalisti, pubblicisti, poligrafici, più un significativo numero di altri addetti, come i poligrafici, senza considerare i livelli di occupazione nell’indotto. Dai dati tratti dalle certificazioni degli bilanci relativi all’anno 2011- ultima indagine approfondita realizzata – emerge che le copie vendute dalle testate percettrici di contributi pubblici ammontavano in totale a poco meno di 265 milioni di copie, per un fatturato complessivo di circa 276 milioni di euro, al netto dei rimborsi derivanti dalla contribuzione pubblica.

Nel corso degli ultimi sei anni la situazione è drasticamente peggiorata (secondo i dati forniti dalla ricerca “L’aiuto dello Stato ai Media”, realizzata nel recente passato dalla Università di Oxford, la spesa pubblica in Europa per il contributo pubblico al pluralismo variava da un massimo di 1307 in Finlandia ad un minimo di 4,3 dell’Italia, ultima nella graduatoria).  L’ammontare dello stanziamento per i contributi diretti alle imprese è passato dai 245 milioni di euro dell’anno 2006 ai 44,7 milioni del 2014 e le imprese sostenute si sono ridotte – dal 2009 al 2014 – da 253 a 177.

Per questo la riforma varata del Governo, con la istituzione del “Fondo per il pluralismo e la libertà dell’informazione” rappresenta una svolta importante ed il nuovo perimetro dell’intervento pubblico ricomprende i temi della salvaguardia del pluralismo delle fonti, del sostegno all’innovazione tecnologica ed alla trasformazione industriale, della modernizzazione del sistema della distribuzione e della tutela dell’occupazione e della qualità del sistema nel suo complesso.

Un punto rilevante è anche quello che orienta al non profit e in particolare a sole forme societarie indipendenti la possibilità di accesso ai contributi. Aldilà del dettaglio tecnico che i decreti sono chiamati a meglio specificare ci pare che la legge riconosca con chiarezza la dimensione professionale e insieme sociale ed autonoma delle tipologie di soggetti che possono accedere ai contributi. Importante che questo riconoscimento sia chiaro nella Legge per rafforzare il concetto della massima trasparenza ed indipendenza che queste realtà devono esprimere.

A garanzia dell’uso corretto e finalizzato delle risorse pubbliche, poi, già oggi l’accesso ai contributi è subordinato a parametri adeguatamente espressivi della reale capacità dell’impresa di stare sul mercato, quali le spese ammissibili ed il numero delle copie effettivamente vendute rispetto a quelle distribuite, senza che assumano più alcun rilievo le copie frutto della mera tiratura ovvero di vendite in blocco. In ogni caso ulteriori parametri, che si evidenziassero opportuni, saranno introdotti nel corso della redazione dei decreti attuativi, in fase di definizione in queste settimane, della legge di riforma.

Il “Fondo” pare nascere con una dotazione significativa. Importante che essa sia adeguata alla effettiva quantificazione del fabbisogno annuale che deriverà dalla somma di quanto richiesto dai soggetti nella corretta applicazione di quanto rigorosamente previsto per l’inoltro delle domande di accesso al Fondo. E qui lo Stato dovrebbe essere pronto ed attrezzato a cogliere, anno per anno, la dimensione esatta del fabbisogno.

La delega che la Legge assegna al Governo per la scelta annuale di ripartizione del Fondo tra i diversi ambiti di intervento previsti dalla Riforma non può certo,  significare il ritorno ad incertezze per le imprese sulle risorse spettanti per ogni anno. Le modifiche sui tempi e le modalità di erogazione delle risorse di sostegno che la Legge prevede vanno  in questa direzione e dovrebbero consentire alle imprese di “sincronizzare”, come sarebbe indispensabile, la conferma da parte dello Stato del valore totale del contributo ad esse spettante  (erogato  per il primo 50% a maggio) con i tempi di definizione ed approvazione dei Bilanci Consuntivi di esercizio.

La Legge introduce, poi, un nuovo limite ai contributi pubblici: quello del 50% del totale dei ricavi realizzati da ogni impresa ammessa a contributo, al netto dei contributi ricevuti. Rispetto alla situazione attuale questo tetto, basato sui ricavi costituisce una modifica rilevante, che produce certamente effetti diversificati e non certo premianti per le realtà più piccole o che operano in contesti più difficili. Le cooperative e le altre realtà non profit saranno, per questo, chiamate a profonde e rapide modifiche dei propri piani industriali, anche se il dettaglio esatto delle conseguenze di questo tetto di contributo sulle imprese andrà verificato più concretamente una volta che si siano scritte nel dettaglio nei Decreti attuativi le nuove regole di accesso ai contributi.

E’, comunque, evidente l’intento del Legislatore di determinare e favorire processi rapidi e forti di ripensamento organizzativo e innovazione in tutta la filiera. Processi non semplici e non indolori. La sfida da affrontare è quindi molteplice e riguarda non solo il semplice miglioramento delle edizioni digitali delle testate esistenti: ma anche una nuova dimensione qualitativa e professionale, riconoscibile con parametri certi, delle testate on line che possono accedere al contributo; la individuazione di nuovi criteri che premino la produzione di informazione locale e l’occupazione giornalistica per le emittenti radiofoniche e televisive; un nuovo approccio multimediale all’informazione che valorizzi in modo sinergico ogni media e che definisca nuovi ambiti organizzativi e di compatibilità economica delle imprese editoriali cooperative e delle altre realtà non profit.

Da questo punto di vista vi sono molti ambiti che i Decreti dovranno descrivere e precisare e qui vogliamo indicarne alcuni: il sostegno alle spese per digitalizzazione e innovazione; i criteri dei Bandi annunciati per la nascita di nuove piattaforme cross-mediali collaborative tra diverse testate; alcune specifiche condizioni di accesso per i giornali online; il nuovo regolamento per l’accesso ai contributi per le emittenti radiofoniche e televisive; i meccanismi premiali per i giornali relativi alle copie vendute in bacini territoriali più o meno ampi o densamente popolati; i meccanismi di incentivo fiscale per gli investimenti incrementali in pubblicità sulle testate locali e indipendenti; il sistema premiante per la formazione dei giornalisti; le forme specifiche dell’alternanza scuola lavoro che possono essere implementate nelle imprese editoriali; la connessione ad azioni coerenti con il Progetto Buona Scuola di formazione alla informazione e alla comunicazione tra i giovani e nelle scuole; l’individuazione di specifiche modalità di co-garanzia per favorire il credito per le realtà del settore; la necessità di individuare regole certe e rigorose che evitino la eccessiva concentrazione delle quote su singoli soci nelle cooperative (aldilà che comunque valga per tutte il principio cooperativo di “una testa, un voto”); la possibilità di definire forme di partecipazione al capitale delle cooperative compatibili e coerenti con le norme in vigore sulla cooperazione; i contenuti dei Bandi che dovranno sostenere progetti innovativi di nuova imprenditorialità nel settore; la definizione e le modalità di accesso agli incentivi relativi all’assunzione di giovani giornalisti al di sotto dei 35 anni…

Su questi temi è da tempo in corso un confronto importante ed impegnativo con la realtà dell’editoria che crediamo possa consentire la più rapida scrittura dei Decreti attuativi con soluzioni condivise e praticabili. Una disponibilità al confronto che, come cooperazione, riteniamo di confermare pienamente.

Il ruolo dell’emittenza nella produzione di informazione locale

La legge di Riforma unifica nel Fondo per il pluralismo e la libertà dell’informazione, molto opportunamente, anche l’emittenza radio televisiva locale.

Nel nostro Paese si registra una presenza di televisioni locali più diffusa di tutte quelle presenti in Europa. Ancora molte di più sono le radio locali cui vanno aggiunti i quotidiani online, in continua crescita, e decine di centri di produzione e di agenzie di servizio.

Gran parte di questo mondo è costituito da piccoli e medi operatori che vanno sostenuti in processi di consolidamento attraverso politiche pubbliche nazionali e regionali volte anche alla crescita di una cultura  coalizionale  orizzontale ed alla costruzione di reti e distretti per esaltare la specificità dei siti valoriali locali.

Il mercato, da solo, non riesce a garantire la continuità aziendale ad un volume di imprese così elevato. Le nuove acquisizioni scientifiche e tecnologiche, che spingono sempre più verso la convergenza, impongono – infatti – forti investimenti ed un costante adeguamento delle strategie aziendali. L’avvio di esperienze interattive, che mutano il tradizionale rapporto tra attori e spettatori, tra produttori e consumatori, tra sedimentazioni culturali e nuove acquisizioni, esaltano la centralità degli utilizzatori e suggeriscono la ricerca di un nuovo ruolo della mediazione professionale.

Tutto ciò richiede la ridefinizione della normativa che governa il settore, la necessità di ripensare gli strumenti di sostegno per renderli funzionali ai nuovi bisogni e di sollecitare gli operatori ad adottare strategie di crescita, anche attraverso processi di integrazione orizzontali e di collaborazioni in grado di assicurare le massime sinergie.

L’occasione per una tale incombenza viene offerta, oggi, dall’emanazione dello specifico Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previsto nella legge istitutiva del “Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione”.

Sarebbe opportuno che nella redazione di tale provvedimento fossero tenuti presenti, in particolare, alcuni criteri: dimensione occupazionale; autoproduzione; correlazione tra dimensione dei contributi ed utenti del servizio; maggiore equilibrio di ripartizione dei contributi tra i soggetti ammessi, oggi assegnati in gran parte alle aziende più grandi.

Rilanciare l’informazione locale indipendente come parte integrante del “servizio pubblico”

E’ opinione largamente diffusa che oggi più che mai occorra un moderno ed efficiente servizio pubblico.

In tutta Europa, infatti, è in corso un ripensamento dei modelli per rilanciarne ruolo e funzione.

Di fronte alla enorme massa di informazione, per quanto caotica, improvvisata e talora di bassa qualità, nel sistema dei media si pone un problema di democrazia, nel senso di garantire una informazione democratica e pluralista. Non è la mole delle informazioni, né la ridondanza dei soggetti, infatti, che garantiscono il pluralismo ma la tutela della libertà di espressione, la difesa attiva della molteplicità delle fonti, l’attenzione ai processi di sviluppo sociale e culturale.

La Legge di Riforma proroga i termini per  il rinnovo della Concessione del Servizio pubblico televisivo, radiofonico e multimediale, mentre  allunga a dieci anni la durata della nuova  concessione, E’ per noi utile prendere atto  che sono in corso importanti riflessioni e confronti  a questo proposito. La ridefinizione ed il rilancio del servizio pubblico non può avvenire che sull’acquisizione dei mutamenti avvenuti nella composizione e nei caratteri della società italiana. Per questo si prevede nella Legge l’obbligo di un’ampia consultazione  per avere maggiore chiarezza di indirizzo rispetto alle funzioni ed ai contenuti di questa Concessione. La cooperazione vorrebbe poter portare il proprio contributo in merito a come si possa delegare, in un quadro di regole  certe,  una parte di questo servizio  di interesse pubblico ad imprese professionali non profit, tra cui le cooperative  di giornalisti e a quelle realtà dell’emittenza che siano coerenti nell’applicazione di criteri qualitativi e di responsabilità verso le comunità locali.

Confermano questa opportunità le tantissime e collaudate esperienze di sussidiarietà nel rapporto pubblico privato, dalla cultura al sociale, che la cooperazione ha prodotto ormai da fine anni ’70, svolgendo una funzione di interesse pubblico proprio all’interno di regole, indirizzi e controlli di efficienza e di risultato per le comunità locali, stabilite ed attuate dal soggetto Pubblico.

In ogni caso è indispensabile riscoprire il valore culturale dell’informazione e ridefinire il perimetro di attività del servizio pubblico. Se da un lato la crisi finanziaria e la moltiplicazione dell’offerta hanno evidenziato che esso non può essere presente sempre e dovunque, dall’altro occorre garantire una informazione completa, universale, responsabile e pluralista. In questo quadro, ricordando come tutti i media, al di là della pluralità delle piattaforme, della organizzazione societaria e dei linguaggi svolgono un servizio pubblico sarebbe impostante che il servizio pubblico garantito dal concessionario fosse in qual modo integrato con quello svolto sul territorio. Occorre prendere atto che internet non è, e non sarà, la tomba della carta stampata, come pure taluni si erano precipitati a preconizzare, ma che al contrario i giornali cartacei aumentano il loro potere nella rete; che continua ad attenuarsi progressivamente l’indipendenza dell’informazione; che abbiamo bisogno di garantire robusti schermi strutturali tra la l’informazione ed il potere diretto della politica. In questo quadro invertire i processi di impoverimento del sistema dell’informazione e rilanciare la presenza dell’editoria cooperativa e non profit, in particolare nel comparto dell’informazione di prossimità, è dunque non solo possibile ma necessaria ed urgente.

I decreti che dalla Legge di Riforma sono demandati al Governo assumono, come si è fin qui detto, una forte rilevanza per poter assumere un giudizio finale complessivo sulla norma, sulle sue coerenze e sulla sua complessiva capacità di corrispondere agli impegni di sostegno al pluralismo e all’innovazione e rilancio della intera filiera editoriale da cui la Legge ha preso le mosse. La cooperazione è impegnata a contribuire, insieme alle altre associazioni e realtà della filiera editoriale con cui ha condiviso la campagna #menogiornalimenoliberi ad attivare ogni approfondimento utile per il rapido completamento  di un quadro normativo che possa rafforzare gli spazi di pluralismo dell’informazione locale e nazionale indipendente (su carta, online, sui media radio televisivi…) in ogni territorio del Paese.

Roberto Calari
Presidente di Mediacoop

(articolo pubblicato anche su www.leggilanotizia.it del 5 novembre 2016, con il titolo “Editoria, c’è la nuova legge“)

Editoria Legge 26-10-2016 n.198