Home News Cultura “PERCHE’ UNA CONFERENZA SULL’IMPRESA CULTURALE”. Intervento di Giovanna Barni, vicepresidente vicario CulTurMedia

“PERCHE’ UNA CONFERENZA SULL’IMPRESA CULTURALE”. Intervento di Giovanna Barni, vicepresidente vicario CulTurMedia

 

PRIMA CONFERENZA NAZIONALE | 5 LUGLIO 2017 | L’AQUILA
PREMIO CULTURA DI GESTIONE | 4 LUGLIO 2017 | L’AQUILA

A partire dal luglio 2016, abbiamo partecipato come Alleanza Cooperative Italiane Turismo e Beni culturali insieme a Federculture, Agis, Forum del Terzo Settore, realtà diverse, ma tutte protagoniste nel Paese della gestione e della valorizzazione dei beni e delle attività culturali, ad un tavolo di lavoro sul tema dell’Impresa Culturale.

Insieme a questi  soggetti (ai quali si sono affiancati anche FAI, WWF, Italia Nostra, Touring Club) abbiamo condiviso un percorso di confronto ed elaborazione comune per fare emergere gli elementi distintivi del sistema culturale in cui operano e che rappresentano.

La prima esigenza che si è evidenziata è stata quella di individuare le specificità del settore che, nelle sue varie sfaccettature, può essere descritto come la “filiera” costituita dal complesso delle imprese culturali e creative.

La cultura è un ecosistema che coinvolge le principali dimensioni della vita sociale: la salute, il lavoro, il riposo e lo svago, l’innovazione, la sostenibilità ambientale, la coesione sociale, la qualità della vita. Questo fa dell’impresa culturale necessariamente un’impresa che opera per la publica utilitas. Indire una conferenza sull’impresa culturale significa allora avviare un percorso di riflessione che attraversa tutti questi aspetti e consente di capire se e come essa possa da un lato apportare il proprio contributo e dall’altro vedere valorizzato lo stesso nella maniera più opportuna.

Il punto di convergenza sul quale il lavoro si è incardinato è stata la condivisione di una “cultura della gestione” e del “fare impresa”, quale tema sul quale tutti le diverse realtà si misurano nell’approccio alla valorizzazione e gestione culturale.

All’interno del più ampio sistema culturale si sono riconosciute le imprese culturali come quelle che, in attuazione dell’art. 9 della Costituzione, svolgono attività volte alla realizzazione di progetti di valorizzazione dell’eredità culturale – anche nel senso inclusivo e partecipativo previsto dalla Convenzione di Faro – e sono accomunate dalla finalità di garantire il diritto di accesso alla cultura al pubblico.

Se nel definire l’impresa culturale non si può prescindere dal concetto di bene comune e di pubblica utilità, l’approccio alla base di ogni riflessione – giuridica, economica, etica – non può essere improntata alla logica dell’appartenenza né a quella della specifica attività svolta ma a quella della destinazione dei beni alla fruizione e al godimento di tutti. Questo approccio consente di distinguere e valorizzare nell’ambito del piu’ ampio settore dell’industria culturale e creativa ( così come definito nella “Proposta di  Risoluzione del Parlamento Europe su una polticia dell’UE coerente con le industrie culturali e creative” delle Commissioni Industria-Ricerca e Cultura-Istruzione  l’impresa culturale,  in virtu’ del suo piu’ accentuato impegno verso l’ utilità sociale. In altre parole l’impresa culturale associa alla capacità di intraprendere in modo stabile ed autonomo servizi e attivita’ per la pubblica fruizione, e quindi già di per sé con finalità di interesse pubblico, la capacità di essere culturalmente “affidabili” e di produrre valore non solo economico ma anche sociale, innescando dinamiche positive nell’ambito dei territori. E la cooperazione è tra tutti i soggetti certamente quello che combina meglio, per sua setssa natura, tutte queste performance di sostenibilità culturale. 

Come favorire la crescita e la diffusione delle imprese culturali

Pertanto queste performance possono e debbono diventare misurabili e oggetto di interesse da parte della Pubblica Amministrazione per innestare nel paese percorsi di sviluppo sostenibile. Più compiutamente di quanto previsto e abbozzato nel recente Disegno di Legge discusso in Commissione Cultura dall’Onorevole Ascani, occorrerebbe un contesto normativo, fiscale ed economico più favorevole alla crescita dell’impresa culturale coerentemente ai tanti benefici di interesse pubblico di cui questa è portatrice: ad esempio forme nuove e semplificate di partenariato pubblico-privato, incentivi all’occupazione, contributi agli investimenti, agevolazioni fiscali . Il sistema di favore  andrebbe legato e graduato sulla base di parametri che misurino la portata di utilità sociale (tasso di occupazione, percentuale di laureati in discipline umanistiche, livello di innovazione, l’operare in contesti disagiati, la capacità di fare rete, eccetera), oltre che rivalutato periodicamente – magari su base annuale – per confermare o meno lo status di impresa culturaledi utilità sociale appunto.

La prima conferenza sull’impresa culturale si limiterà ovviamente ad avviare questo percorso di riflessione, avendo, infatti, come primo obiettivo quello di incrementare, tra gli attori istituzionali, gli stakeholder pubblici e privati e, soprattutto, tra gli amministratori locali e nazionali, la coscienza del peso strategico delle imprese protagoniste nella gestione dell’offerta culturale del Paese. E soprattutto diffondere la consapevolezza che un’impresa culturale “innovativa e sostenibile” coglie l’obiettivo di rafforzare gli attrattori culturali anche in chiave turistica e per questo crea un “ecosistema” di servizi “ancillari” che, qualora integrati a quelli culturali, contribuiscono alla creazione di un circolo virtuoso di sviluppo territoriale.

Ma c’è anche l’idea che, dalla reciproca presentazione dei soggetti coinvolti e del loro contributo, possa nascere un Tavolo di partenariato permanente, con il quale le istiituzioni possano finalmente confrontarsi sul futuro di questo importante settore del paese. A questo Tavolo la Cooperazione che opera nella gestione e valorizzazione dei Beni Culturali, nello Spettacolo, nella Comunicazione e Informazione  e nel Turismo (con oltre 1.600cooperativa associate ed un fatturato aggregato pari a 1.200 milioni di euro) non può che sedere con un ruolo da protagonista. Se infatti i beni culturali sono beni comuni,  la funzione sociale della cooperazione senza fini di speculazione privata – costituzionalmente riconosciuta –  non può che essere la migliore garanzia per una valorizzazione partecipata e sostenibile degli stessi.

GIOVANNA BARNI
Vicepresidente Vicario CulTurMedia