Home Agenda La Stagione di Prosa dell’ITC Teatro prosegue con “Pueblo”, l’ultimo lavoro di Ascanio Celestini

La Stagione di Prosa dell’ITC Teatro prosegue con “Pueblo”, l’ultimo lavoro di Ascanio Celestini

Fabbrica srl

Pueblo

di Ascanio Celestini
con Ascanio Celestini e Gianluca Casadei
suono Andrea Pesce 

Sabato 24 febbraio 2018 la Stagione di Prosa dell’ITC Teatro prosegue, eccezionalmente presso la Sala 77 del Circolo Arci San Lazzaro (via Bellaria 7, San Lazzaro di Savena, Bologna), con Pueblo, l’ultimo lavoro di Ascanio Celestini.

Io mi chiamo Violetta. Sul seggiolino della mia cassa sono una regina in trono. Immagino che coloro che depositano salami e formaggi non siano clienti, ma sudditi. Sudditi gentili che vengono a regalarmi delle cose… “Prego prenda questo vino. Prego…” E io dico “grazie, grazie, grazie”.

Pueblo è la storia di una giovane donna che fa la cassiera al supermercato e delle persone che incontra e che le raccontano storie. È anche la storia di una ex prostituta proprietaria di un bar di periferia, un posto che può essere osservato semplicemente perché esiste ogni giorno e non solo quando i fatti si trasformano in notizie. Ascanio Celestini crea un nuovo ritratto della periferia e invita lo spettatore a identificarsi con i suoi protagonisti e con i suoi luoghi, che sono sì margine del mondo, ma anche isola dove l’umanità è più forte, più viva e più visibile proprio perché nessuno guarda. Violetta non è soltanto uno dei personaggi della storia, ma incarna un mondo di disillusioni, di sogni traditi e di vite vissute tra la fatica del quotidiano e la bellezza delle persone che vi si incontrano. Ancora una volta Ascanio Celestini ci trascina tra le chiacchiere di questi disperati, che poi disperati non sono se non agli occhi altrui, e ci restituisce un mondo fatto di povertà ma anche di rara bellezza, di ignoranza ma anche di atavica saggezza.

«Violetta è una giovane donna che lavora in un supermercato. Non le piace il lavoro che fa. Lavora alla cassa dove fatica anche ad alzarsi per andare al gabinetto. Allora immagina di essere una regina. E nella sua immaginazione anche il mondo che si trova fuori dal supermercato è un reame, pieno di gente interessante che lei incontra e che le racconta storie. Una barbona che rimpiange un uomo al quale ha voluto molto bene, un africano, facchino in un grande magazzino. E poi il padre di Domenica, scomparso quando lei era molto piccola o uno zingaro che ha conosciuto quando era bambina, bambino anche lui, e che ha rincontrato da grande. Tutti questi personaggi e le loro storie interagiscono, si incrociano, soprattutto attraverso un altro personaggio chiave del racconto: una ex prostituta proprietaria di un bar di periferia, di quelli con le slot machine, dove in qualche maniera tutti finiscono. A me interessava raccontare la storia di un luogo che normalmente conosciamo solo quando vi accade qualcosa di scandaloso, di tremendo, di violento. Quando quello che accade, insomma, si trasforma in una notizia. E invece questo posto può essere osservato semplicemente perché esiste ogni giorno e non solo quando i fatti si trasformano in notizie. Qui abitano personaggi con un’umanità molto evidente il cui tratto principale è la debolezza. Sono deboli anche quando sono violenti, sono deboli anche quando sono cattivi, sono deboli anche quando sono colpevoli. Pueblo è la seconda parte di una trilogia che comincia con Laika. In entrambi i casi si tratta di vicende di personaggi che vivono ai margini della narrazione alla quale siamo abituati. Personaggi che non hanno alcun potere e spesso stentano a sopravvivere, ma si aspettano continuamente che il mondo gli mostrerà qualcosa di prodigioso. Ci credono talmente tanto che alla fine il prodigio accade. Ignorano il potere di Dio o degli eserciti. La loro forza e la loro debolezza sono la stessa cosa, per questo, pur essendo ai margini della società vorrei che riuscissero a rappresentarla per intero. Questo spero di provocare: che lo spettatore professionista borghese, il giovane laureato o lo studente che ancora vive coi genitori si identifichi in un barbone o in una prostituta rumena, non perché vive la stessa condizione sociale, ma la stessa condizione umana» (Ascanio Celestini)

“I morti, i vivi, i poveri, i sognatori, i disperati, i persi, gli ubriaconi, le feste e i funerali: l’affresco popolare e popolano di Celestini viaggia ben oltre i livelli del melodrammatico o del neorealista, si struttura in un racconto dal ritmo vorticoso, surreale, vibrante, divertente, irriverente. Scarta continuamente, apre e svela, chiude e butta via, mette in fila poesia e turpiloqui, canzoni e parolacce: giullare, si potrebbe dire, o “santo bevitore”, Celestini coglie dettagli della quotidiana tragedia, ne fa brillare la bellezza, ne svela la speranza mai rassegnata, appunto. Così, quando meno te lo aspetti, ti trovi di fronte all’ostinata ricerca della felicità, dei personaggi o degli spettatori, poco importa. E commuove. Allora in quel mare di macerie e di dolori, fa capolino un sorriso, vero e vivo. Ingenuo e speranzoso. Come quello di una bambina fresca, pulita, gli occhi grandi, la vita davanti”.
(Andrea Porcheddu – Gli Stati Generali).

Prima dello spettacolo, alle 19.30 presso il Circolo Arci San Lazzaro, Aperitivo con il critico, un momento di approfondimento a cura di Massimo Marino.

A seguire incontro con Ascanio Celestini

Per info e prenotazioni: www.itcteatro.it

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